Kevin McArevey è un dinamico preside della scuola elementare Holy Cross Boys, nel nord di Belfast, punto di riferimento educativo e sociale in una piccola comunità un tempo segnata dalle insubordinazioni e dalla guerriglia dei Troubles. L’insegnante, che ricorda il pacato maestro Lopez di Être et avoir, film francese molto simile nell’approccio a questo di Declan McGrath e Neasa Ní Chianáin, ha in mente un grande progetto, allo stesso tempo pedagogico e di rigenerazione urbana: la realizzazione di un murales raffigurante i grandi filosofi dell’antica Grecia come Platone, Socrate e Aristotele.
È alla loro filosofia che le sue lezioni si ispirano, utilizzandone gli insegnamenti come strumento per stimolare nei ragazzi la voglia di accogliere nuovi modi di pensare e strategie per disinnescare la violenza e scongiurare lo scontro.

È da diverso tempo che il cinema ha trovato nell’ambiente scolastico il campo ideale per raccontare le divergenze e le disfunzioni della società contemporanea, che inevitabilmente si riflettono sulle nuove generazioni, condizionandone la psicologia e l’atteggiamento rispetto alle cose, anche dolorose, che accadono attorno a loro.
Lo aveva fatto, solo un anno fa, Maria Speth con il film Mr Bachmann and His Class (presentato alla Berlinale), ambientato anch’esso in una città (tedesca) con alle spalle una storia complessa di esclusione e integrazione di stranieri, in cui un geniale insegnante cercava di offrire ai suoi alunni la chiave per sentirsi nuovamente a casa. Anche in Young Plato, i muri di filo spinato che circondano ancora la scuola, dopo diversi decenni dal loro posizionamento, sono la testimonianza della lotta settaria che si è consumata nell’Irlanda del Nord e dei suoi lunghissimi strascichi nel presente.
Biografilm 2022 | la recensione di Young Plato
Il momento decisivo dell’affermarsi della filosofia dell’infanzia è stato ben colto dal filosofo dell’educazione statunitense David Kennedy che, nel solco della tradizione di Lipman e Matthews, ha sottolineato come l’adulto sia divenuto un bambino, nel senso di “un essere incompleto, sempre in cammino, che non ha mai smesso di svilupparsi”.
Le forme di vita del bambino divengono perciò paradigmatiche e quindi eminentemente degne dell’interlocuzione adulta. La scuola, dice oggi Kennedy, deve transitare da spazio della promozione della razionalità a quello di coltivazione della ragione (che, a differenza della prima, si basa sulla reciprocità, l’intersoggettività, il dialogo e la negoziazione).

Il preside McArevey insegna ai suoi studenti strategie di immedesimazione con l’altro, fornisce strumenti per immaginare cosa vuol dire essere il proprio compagno di banco. Cita Seneca, ma il nome dei filosofi è secondario: si tratta di insegnare ai ragazzi come pensare, non cosa pensare.
Qualsiasi iniziale scetticismo si possa avere sull’insegnamento di una disciplina così complessa come la filosofia ai bambini delle scuole elementari, viene rapidamente dissipato una volta che l’educatore comincia a disegnare con il gessetto bianco sulla sua lavagnetta.
I bambini della Holy Cross prima ancora di ripetere le nozioni che hanno appreso, piangono, si abbracciano, chiedono scusa. In questo modo, Young Plato si pone come un limpido e fondamentale studio sulla filosofia (e l’educazione) come mezzo per la risoluzione dei conflitti.
Recensioni
Il più bel secolo della mia vita: la ricerca delle proprie origini | Recensione

I protagonisti del film Il più bel secolo della mia vita – NewsCinema.it
Il 7 settembre è uscito nei cinema italiani la commedia Il più bel secolo della mia vita diretta da Alessandro Bardani con protagonisti Sergio Castellitto, Valerio Lundini e Carla Signoris. Emozioni e risate portate sul grande schermo per mettere in luce l’assurda, crudele ma soprattutto reale, Legge dei 100 anni.
4.4
Punteggio
Il film Il più bel secolo della mia vita diretto da Alessandro Bardani è tratto dall’omonimo spettacolo teatrale con protagonisti Francesco Montanari e Giorgio Colangeli. Nella versione cinematografica, prodotta da Goon Films, Rai Cinema e Lucky Red, ad interpretare il ruolo del centenario Gustavo è Sergio Castellitto, mentre il personaggio del trentenne Giovanni è stato affidato a Valerio Lundini.
Menzione speciale, per l’attrice Carla Signoris nel ruolo di Gianna, madre di Giovanni. La commedia Il più bel secolo della mia vita presentata in concorso durante la 53^ edizione del Giffoni Film Festival, nella sezione Generator +18, ha visto Bardani ritirare il Gryphon Award come Miglior Film.
Il più bel secolo della mia vita | La trama del film
C’era una volta (e c’è tutt’ora) in Italia, una legge chiamata 184 del 1983. Alcune persone la consideravano una norma come altre, mentre altri, un muro invalicabile alla scoperta delle proprie origini. Secondo la Costituzione Italiana, la cosiddetta Legge dei 100 anni, impedisce ad un figlio non riconosciuto alla nascita di conoscere il nome della madre. Solo al compimento del centesimo anno di età, quest’ultimo potrà scoprirne l’identità. Questa che sembra essere una fiaba assurda e crudele, non è nient’altro che la realtà.
Ed è qui, che inizia l’inedito duo formato dal centenario Gustavo (Sergio Castellitto) e il trentenne Giovanni (Valerio Lundini) uniti da un destino comune, ma vissuto in maniera completamente differente. Il ragazzo appartenente alla FAeGN, acronimo che sta per l’associazione Figli Adottivi e Genitori Naturali, è impegnato nella realizzazione di una nuova Legge che possa abrogare quella dei 100 anni. Per far sì che il nuovo disegno di legge venga preso seriamente in considerazione, è fondamentale la testimonianza dell’unico centenario ancora in vita, ignaro dell’identità della madre.

Sergio Castellitto e Valerio Lundini in una scena del film Il più bel secolo della mia vita – Fonte: NewsCinema.it
Partendo da Bassano del Grappa, Giovanni e Gustavo danno vita a questa avventura on the road, diretti verso Roma, alternato da momenti divertenti, ad altri profondi, ad altri di assoluta verità. Per Giovanni, l’unico intento è di dimostrare quanto sia assurdo che un individuo debba aspettare cento anni, per scoprire le proprie origini, grazie alla testimonianza di Gustavo.
Mentre per il centenario, andare a Roma, vuol dire tornare nei luoghi della sua giovinezza, nell’unica casa che ha mai conosciuto, il Jacki O’. Tra confronti accesi e scambi di opinioni, i due fratelli di culla, si troveranno a fare i conti con alcune zone buie del loro passato mai raccontate a nessuno.
La recensione del film diretto da Alessandro Bardani
Sergio Castellitto durante l’incontro con i giurati del Giffoni Film Festival, ha invitato i ragazzi a cercare e parlare ciò che è piaciuto del film e di evitare di citare ciò che non è piaciuto. Nel film Il più bel secolo della mia vita è davvero difficile trovare qualcosa di poco gradito. Avere due artisti come il grandioso Sergio Castellitto e il sorprendente Valerio Lundini alla guida di questo film, è stata sicuramente una scommessa vinta. La bravura di Alessandro Bardani alla direzione della sua opera prima è stata quella di aver trovato la giusta chiave di lettura, per far sì che le loro differenze si riuscissero a fondere in una cosa sola.
La sceneggiatura scritta da Alessandro Bardani, Luigi Di Capua, Maddalena Ravagli e Leonardo Fasoli, tenendo conto dell’omonimo spettacolo teatrale, rappresenta le fondamenta di questa storia, che ruota intorno alla Legge dei 100 anni. I botta e risposta tra Giovanni e Gustavo esaltano le loro differenze caratteriali, soprattutto nel modo diverso di concepire la vita. Se Gustavo è un centenario dall’animo giovane, che ha vissuto sempre da solo e ha provato le sofferenze della vita; Giovanni è un trentenne dall’animo vecchio, che sebbene abbia l’amore della madre, non si è mai goduto la vita, non ha mai fatto nulla di particolare, restando sempre dentro certi schemi.
Per l’arzillo centenario, andare a Roma significa evadere dall’ospizio nel quale vive da oltre dieci anni, per poter tornare – finalmente – nella sua amata Roma. Una città che non ha mai dimenticato, che ha custodito sempre nei suoi ricordi, anche solo attraverso un fazzoletto di tela con l’impronta delle labbra del suo grande amore conosciuto al Jackie ‘O: la diva della Dolce Vita, Rita Hayworth. Per quanto Gustavo sembra essere un uomo forte, nel momento in cui tira fuori questo pezzo di stoffa, custodito lontano da occhi indiscreti, viene fuori la sua parte più fragile.

Sergio Castellitto come Gustavo nel film Il più bel secolo della mia vita – Fonte: NewsCinema.it
La potenza delle parole in una vita di silenzi
Ad unire questi due uomini, soprannominati ‘fratelli di culla’, è la presenza di Gianna, mamma di Giovanni interpretata amabilmente da Carla Signoris. Lei è l’anello di congiunzione tra loro due. Il suo istinto materno, dai modi dolci e affabili, come solo una mamma sa essere, si riversano sul modo di rapportarsi con Giovanni e poi con Gustavo. Grazie a lei, la comunicazione tra loro porta la fine delle ‘parole non dette’ per anni, portando di conseguenza, tutti a mettersi in discussione e a dire la verità per la prima volta nella vita.
Concetti come i figli sono di chi li cresce e non di chi li fa, è una grande verità che detta ad alta voce, lascia il segno nelle persone che lo sentono dire da un centenario, a un passo dallo scoprire l’identità della madre biologica. L’ironia delle battute in romanesco dette da Gustavo cercano di colmare le ferite inferte dalla vita, fin da quando era solo un ragazzino. La colonna sonora de Il più bel secolo della mia vita è l’elemento in più, di cui il film aveva bisogno, portando lo spettatore ad emozionarsi ancora di più. La scelta di inserire il brano La vita com’è scritto e interpretato da Brunori Sas all’inizio del lungometraggio di Bardani, introduce ciò che lo spettatore andrà a vedere nei prossimi 80 minuti: “Avere vent’anni o cento non cambia poi mica tanto se non riesci a vivere la vita com’è.
Recensioni
Conversazioni con altre donne: il miglior cinema italiano in un remake | La recensione

La locandina di Conversazioni con altre donne
Dal 31 agosto 2023 nelle sale, distribuito da Adler Entertainment, Conversazioni con altre donne porta in scena una delle coppie più affiatate e affascinanti del cinema italiano: Valentina Lodovini e Francesco Scianna.
4.1
Punteggio
La pellicola, scritta e diretta da Filippo Conz – che torna al lungometraggio dopo circa vent’anni – è il remake dell’americano Conversazioni con altre donne (2005) di Hans Canosa. Gabrielle Zevin, compagna di Canosa, ne firmava soggetto e sceneggiatura, e Olivia Wilde aveva un piccolo ruolo come damigella d’onore.

Una scena di Conversazioni con altre donne – Fonte Foto: VelvetMag
Il punto di forza di opere come queste è, senza dubbio, la scrittura: la necessità di una base solida permette agli attori di esprimersi al loro meglio. Valentina Lodovini e Francesco Scianna rappresentano quel cinema italiano di sostanza, che sa cosa e come raccontare, riuscendo a passare senza problemi dalla commedia al dramma.
Ecco perché, in questo incontro di professionalità e sensibilità, ne viene fuori un film ben composto, elegante, strutturato e piacevole. Se le riflessioni sollevate dalla narrazione possono risultare sin troppo semplici, le emozioni arrivano comunque forti e dirette. In tanti troveranno il modo o lo spunto per immedesimarsi, lasciandosi trascinare dalle azioni dei personaggi.
Conversazioni con altre donne concentra, in meno di 90 minuti, tutta una serie di suggestioni, che hanno a che fare con le storie d’amore, di quelle che cambiano la vita, indelebili e straordinarie.
Conversazioni con altre donne | La trama del film con Francesco Scianna e Valentina Lodovini
Siamo a Tropea, con una bellissima vista sul mare, durante un ricevimento di nozze. Il clima è disteso e aleggia un profumo d’estate, spensieratezza ed eccitazione per quello che verrà. Le damigelle indossano un abito rosa shocking, non adatto a tutti i fisici. Tra di loro, ne spunta una (Lodovini), sulla quarantina, dalla bellezza mediterranea e l’aria malinconica.

Una scena di Conversazioni con altre donne – Fonte Foto: Filmitalia
La donna è seduta a un tavolino, sorseggia un drink e fuma una sigaretta, quando le si avvicina un uomo (Scianna) che inizia a conversare con lei. Tra i due c’è una chimica palpabile, che non nascondono e con cui, anzi, giocano apertamente. Al momento del lancio del bouquet, la coppia si allontana e si concede una danza solitaria, molto intima.
Man mano che la serata prosegue, emergono i trascorsi tra i due. Il loro primo incontro risale, infatti, ad anni prima. Ma, nel frattempo, tante, troppe cose, sono cambiate. Loro stessi sono cresciuti, maturati, impegnati.
Un amore oltre i confini che fa riflettere e immedesimare
La Lodovini e Scianna tornano a dividere la scena ed è un vero e proprio spettacolo, non solo per gli occhi. Il fascino e il carisma dei due interpreti monopolizzano quasi tutta l’attenzione, sebbene siano gli scambi di battute a dare forma e vita alle loro vicende sullo schermo. I protagonisti simboleggiano ciò che chiamiamo “anime gemelle”. Ma esisteranno davvero?
L’amore di cui si parla è qualcosa che trascende i confini del tempo e dello spazio, qualcosa che sembra non poter scemare nonostante tutto. Convivere con il dolore della separazione, con rimorsi e rimpianti, con la sensazione di aver perso, o forse sprecato, la propria occasione, costringe a fare i conti con se stessi.
Conversazioni con altre donne è un concentrato di sensazioni ed emozioni, in cui chiunque può riconoscersi e da cui può trarre ispirazione. La confezione offertaci da Conz è sempliemente perfetta, priva di sbavature e facili sentimentalismi, onesta e appassionata. E, sebbene si avverta sempre più spesso la mancanza di nuove idee, fa piacere notare come, a volte, il cinema italiano sia in grado di rinfrescare anche quelle già sfruttate.
Recensioni
Oppenheimer: il ritorno di Christopher Nolan lascia il segno | La recensione

Oppenheimer recensione – Newscinema.it
Dal 23 agosto 2023 in sala, distribuito da Universal Pictures, Oppenheimer è il nuovo monumentale lavoro di Christopher Nolan. La figura del celebre scienziato conquista il grande schermo e lascia un segno nella Storia.
4.5
Punteggio
Basato sulla biografia Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato di Kai Bird e Martin J. Sherwin, il film riporta dietro la macchina da presa uno dei migliori autori di sempre. A distanza di 3 anni da Tenet, Christopher Nolan sceglie ancora la Storia per regalare al suo pubblico un’esperienza – emotiva e sensoriale – indimenticabile.
Bastano veramente pochi secondi per rendersi conto della monumentalità dinanzi a cui ci si sta per trovare. Gli effetti sonori pompano, avvolgono, stupiscono. L’atmosfera sembra sospesa per un attimo infinitesimale, come le particelle atomiche prima dell’esplosione, poi non si torna più indietro.
Immerso, senza troppa gradualità, in vicende che hanno a che fare con fisica quantistica, teorie inconcludenti e alcune delle menti più brillanti di tutti i tempi, lo spettatore viene letteralmente bombardato – tanto per rimanere in tema.
Oppenheimer permette così di conoscere lo scienziato (e l’uomo!) che ha dato origine alla bomba atomica, con tutto ciò che ne consegue. Personaggio controverso e complesso, perseguitato da visioni e da calcoli impossibili, J. Robert Oppenheimer aveva un dono, quello di vedere oltre la superficie delle cose. Debole in matematica, ma incredibilmente intuitivo e coraggioso, riuscì ad arrivare dove nessun altro era mai giunto.
Oppenheimer | La trama del nuovo atteso film di Christopher Nolan
Nel 1926, J. Robert Oppenheimer (Cillian Murphy) è un giovane studente all’Università di Cambridge, preso di mira dal professor Blackett (James D’Arcy) e ammaliato dalla figura di Niels Bohr (Kenneth Branagh). Le varie esperienze accademiche lo porteranno a voler tornare negli Stati Uniti, dove mancano gli studi in fisica quantistica.

Cillian Murphy in una scena in bianco e nero di Oppenheimer
Divenuto insegnante preso l’Università della California, a Berkeley, intrattiene rapporti di amicizia con il collega Lawrence (Josh Hartnett) e con la bella Jean Tatlock (Florence Pugh), membro del Partito Comunista. E saranno proprio i suoi legami politici a farlo entrare nel mirin0 del governo americano.
Sono gli anni della Seconda Guerra Mondiale: gli Ebrei cominciano a essere perseguitati e la Germania sta testando nuove armi nucleari. Oppenheimer viene contattato dal Generale Groves (Matt Damon), che lo mette a capo del Progetto Manhattan. Un team di scienziati da tutto il mondo sbarca a Los Alamos, in New Mexico, dove viene creata una vera e propria piccola città, per accogliere le famiglie di chi lavorerà insieme a Oppenheimer.
Il cinema di Nolan che merita attenzione
La cinematografia di Christopher Nolan meriterebbe di essere studiata nel dettaglio, perché ogni tassello che va a comporla contiene al suo interno una miriade di suggestioni. Oppenheimer non fa di certo eccezione, anzi.
Complice la complessità della figura del protagonista, la pellicola esibisce strati su strati da analizzare e valorizzare. A partire da quello più “semplice” – per quanto, in realtà, non lo sia affatto – dello stile visivo, per il quale il cineasta britannico è rinomato e apprezzato, sino ad arrivare alla simbologia di Prometeo.
180 minuti di narrazione, dentro la quale si alternano sequenze di ogni tipo, giocando con i vari piani temporali e con le sensazioni del pubblico, catapultato in un pezzo di Storia che ha cambiato per sempre il destino e il futuro dell’umanità.
Da sottolineare quanto i vari collaboratori, di cui si circonda Nolan, infondano prestigio, passione e potenza ai suoi progetti. Ne sono un esempio il compositore delle musiche Ludwig Göransson (già presente in Tenet) e il ricchissimo parterre attoriale, dove spiccano le performance di Murphy, Damon e Robert Downey Jr., nei panni di Lewis Strauss.
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