Da novembre il Centro Saint Benin di Aosta espone Andy Warhol

 

 

“Ai primi d’agosto del 1962 cominciai con le serigrafie. Volevo qualcosa di più forte, che comunicasse meglio l’effetto di un prodotto seriale. Con la serigrafia si prende una foto, la si sviluppa, la si trasferisce sulla seta mediante colla e poi la si inchiostra, cosicché i colori penetrano attraverso la trama salvo che nei punti dove c’è la colla. Ciò permette di ottenere più volte la stessa immagine, ma sempre con lievi differenze. Tutto così semplice, rapido, casuale: ero eccitatissimo. Poi Marilyn morì quello stesso mese, e mi venne l’idea di trarre delle serigrafie da quel suo bel viso, le mie prime Marilyn”.

Raccontare Andy Warhol significa raccontare un uomo che ha mutato completamente la comunicazione per immagine in ogni sfaccettatura, da pittore, da scultore, da regista, da produttore cinematografico, da direttore della fotografia, da attore, da sceneggiatore, da montatore. Andy Warhol era tutto questo, eppure non era nessuno di questi ruoli. Semplicemente è stato l’inventore della Pop Art, quell’arte popolare che si fondava sulla concezione di un’arte di massa, in quanto tale, prodotto di massa anch’essa, utilizzando oggetti in commercio in tutti i negozi e supermercati. In molti casi, i critici d’arte si sono chiesti se quella proposta da Warhol con la Pop Art si dovesse considerare arte. Cosa distingueva un barattolo di zuppa di Campbell’s o una scatola di detersivo Brillo esposti in un supermercato da quelli esposti da Warhol come opere d’arte? Per Warhol la risposta era insita nella scelta stessa dell’artista di prelevare un oggetto d’uso quotidiano dal suo naturale scopo per elevarlo al rango di arte. Era questo che discerneva quei barattoli con la firma dell’artista dai barattoli dei supermercati. Il Dadaismo di Duchamp era stato un apripista eccezionale in questa nuova concezione artistica.

La mostra Dall’apparenza alla trascendenza, curata da Francesco Nuvolari e in programma al Centro Saint Benin di Aosta dal 25 novembre prossimo all’11 marzo, espone settanta opere che Warhol realizzò tra il 1957 e il 1987. Trent’anni di intensa produzione in cui l’artista americano diede corpo ad un’attività artistica che unì icone del Novecento ad oggetti della vita comune: alle serigrafie che ritraevano Marilyn Monroe, Liza Minnelli e Mick Jagger, grandi icone pop, fino a Mao, si affiancavano gli Space Fruits, le Campbell’s Soup, i Carton Box. L’esposizione sarà un ottimo modo per rendere omaggio ad un artista che ha reso l’arte più popolare, più comprensibile a chiunque, senza distinzione sociale, economica, culturale, appropriandosi del linguaggio di massa per trasformarlo in codice artistico. Il grande valore di Andy Warhol fu proprio questo: fare dell’arte un messaggio, un “prodotto” per tutti.