Dieci bei film che (forse) non avete visto nel 2015

Ci ritroviamo a parlare ormai al passato di un anno, il 2015, che ha visto alternarsi sul grande schermo alcuni dei blockbuster più grandi di sempre, da Jurassic World a Star Wars: Episodio VII. Nel marasma di grandi titoli, con budget stellari e cast di prima scelta, sono probabilmente passate in sordina alcune pellicole altrettanto valide e, per certi versi, decisamente sorprendenti. Ecco una lista dei dieci film che probabilmente vi siete lasciati sfuggire durante questo concitato 2015.

10

10. Quel fantastico peggior anno della mia vitaAlfonso Gomez-Rejon

Pellicola trionfatrice alla passata edizione del Sundance Festival, Quel fantastico peggior anno della mia vita (traduzione del ben più ironico e provocatorio titolo originale Me & Earl & the dying girl) è un film elegante e ben costruito, che tocca un tema delicato e difficile come quello della malattia andando beffardamente contro i canoni imposti dal genere. Il cineasta gioca con i propri spettatori in una divertente operazione di destrutturazione, in cui i cliché classici del genere vengono completamente ribaltati e apertamente derisi. Dove ci si aspetta romanticismo, si trova distaccato cinismo, dove lacrime e sospiri, risate e sorrisi. La splendida colonna sonora, la leggerezza alla Michel Gondry e la fotografia andersoniana rendono questo piccolo gioiello un film da recuperare assolutamente.

1

9. Room – Lenny Abrahamson

Dal regista di Frank, la sorprendente commedia musicale con Michael Fassbender dello scorso anno, Room narra la storia di una giovane ragazza di diciassette anni (interpretata da Brie Larson) rapita da un maniaco e costretta a vivere, assieme al proprio bambino, chiusa in una stanza di una sporca bettola sperduta nella provincia americana. Dalla claustrofobia della stanza si passa poi alla scoperta del mondo esterno, descritto e analizzato attraverso occhi di un bambino di cinque anni che fino ad allora non aveva vissuto con altro se non lampade, sedie e vecchi armadi. Una delle pellicole più intense ed emozionanti di questo ultimo anno, accolta da applausi scroscianti durante la proiezione in anteprima alla decima edizione della Festa del Cinema di Roma.

4

8. Forza Maggiore – Ruben Östlund

Probabilmente una delle più grosse sorprese di questo ultimo anno, il piccolo gioiello norvegese diretto da Ruben Östlund indaga sulla paura della morte e delle conseguenze che lo scontro diretto con essa può determinare nelle relazioni di una famiglia. Una giovane coppia con figli decide di passare una settimana di vacanza in montagna tra piste da scii ed escursioni glaciali. Quando una improvvisa valanga rischia quasi di travolgerli durante un pranzo nella veranda di un ristorante, però, gli equilibri iniziali che tenevano insieme i membri della famiglia iniziano pian piano a venire meno. La miseria umana, dalla vigliaccheria alla paranoia, inquadrata in un dramma tragico e allo stesso tempo ironico e grottesco, quasi bergmaniano nelle sue atmosfere e nella sua indagine psicologica. Regia elegante ma essenziale per uno dei film più interessanti degli ultimi anni, con un finale che, nella sua grazia e poesia, ci ricorda come in fondo siamo tutti vittime dello stesso beffardo destino di figuranti, senza distinzione di età, sesso o etnia.

7

7. ’71 – Yann Demange

Nel bel mezzo del conflitto civile nordirlandese un giovane soldato viene lasciato da solo e disarmato nel bel mezzo del campo di battaglia, costretto a cercare di sopravvivere in un territorio ostile e spietato. ’71 è puro cinema di movimento: ogni inquadratura, ogni sequenza, è capace di trasmettere emozioni forti e contrastanti con un semplice spostamento di macchina. La fotografia cupa di una civiltà ormai dilaniata dal proprio odio e dal risentimento verso i propri fratelli rende la pellicola di Demange un feroce pugno nello stomaco. Pur riprendendo a piene mani dai film di genere anni ’70 e ’80, il regista inglese riesce a confezionare un prodotto moderno e attuale, reso ancora più vivido e realistico dalla splendida fotografia di Radcliffe. Vivere e morire a Belfast.

8

6. Non essere cattivo – Claudio Caligari

Claudio Caligari continua il discorso cominciato con Amore Tossico riprendendo i temi più cari al Pasolini corsaro, al poeta che per primo denunciò la tragedia di una generazione di ragazzi “destinati a esser morti”, obbedienti nella loro disobbedienza, conformisti nella loro voglia di rivoluzione, così tragicamente vecchi e reazionari nella loro giovinezza. La scomparsa delle “antiche riserve”, la perdita dei propri valori e della propria identità, la consapevolezza di essere irrecuperabili nel “disperato diritto a restare se stessi”. Il testamento di un grande regista, di un artista sincero che si è stagliato sul panorama di un cinema italiano sempre più finto e patinato. Un cineasta, come tutti i grandi, ignorato e ostacolato in vita, fintamente celebrato dopo la morte da gente che non lo ha mai capito fino in fondo. Per chi scrive, il più bel film italiano di questo ultimo anno insieme a Il racconto dei racconti di Matteo Garrone.

6

5. Blackhat – Michael Mann

Nonostante il nome di spicco di un regista di talento come Michael Mann, sembra che questo nuovo Blackhat non abbia riscosso il successo sperato al botteghino, complice una distribuzione nel nostro Paese non propriamente massiccia. Protagonista di questo cyber thriller un inedito Chris Hemsworth nei panni di un hacker che, in collaborazione con i governi cinese e americano, ha il compito di neutralizzare una cellula terroristica colpevole di aver violato la rete di una centrale nucleare di Hong Kong e del Chicago Mercantile Exchange. Il nuovo film di Mann non è solo girato in maniera superba, dipingendo una Honk Hong psichedelica e lisergica dalle nottate oscure e fumose, ma rappresenta una ennesima opera in perfetta linea con gli indimenticabili night crime che da sempre caratterizzano la sua poetica autoriale, da Heat a Collateral. Questa volta il regista americano si fa carico di una materia attuale e “postmoderna” come quella della guerra informatica, di uno scontro tra nazioni non più basato sul conflitto fisico ma su quello “invisibile”. Da Depp e Bale in Nemico Pubblico a Petersen e Noonan in Manhunter, Mann ha sempre incentrato le sue pellicole sul binomio “cacciatore e preda”, e questo Blackhat non fa eccezione. Nonostante le tante critiche della stampa americana, noi ci sentiamo di promuoverlo e consigliarlo.

2

4. Goodnight Mommy – Veronika Franz e Severin Fiala

Difficile rimanere indifferenti dopo la visione di questo inquietante, profondo e lacerante horror austriaco. Dopo un importante intervento chirurgico la madre di due apparentemente angelici gemelli fa finalmente ritorno a casa. I due bambini, però, non riuscendo a vedere il viso del proprio genitore, ancora coperto dalle bende, e insospettiti da un comportamento stranamente scontroso e ostile, maturano la convinzione di trovarsi di fronte a un impostore entrato in casa con lo scopo di far loro del male. Una prima parte lenta e piena di tensione cede il passo durante gli ultimi trenta minuti a sequenze violente, crudeli e feroci come non se ne vedevano da tempo. Un pugno nello stomaco di grande efficacia. Per tutti gli amanti delle emozioni forti.

5

3. What we do in the shadows – Jemaine Clement e Taika Waititi

Girato completamente in stile mockumentary, il divertentissimo quanto folle What we do in the shadows parte dal pretesto narrativo di una troupe televisiva con il compito di documentare istante per istante la vita di alcuni vampiri nei sobborghi di Wellington, in Nuova Zelanda. Tra varie discussioni casalinghe, come quella circa i turni per lavare i piatti, e feste notturne esclusive, la pellicola vive grazie alla sorprendente interpretazione dei quattro protagonisti principali, da Nick il filantropo a Petyr, un anziano molto simile al Nosferatu di Murnau. Un film che, nonostante non abbia riscosso il successo dovuto, siamo convinti riuscirà a imporsi con il passare degli anni come un vero e proprio classico. Un umorismo intelligente, divertente e mai volgare per questo Frankenstein Junior del ventunesimo secolo.

9

2. Ex Machina – Alex Garland

E’ difficile riuscire a trattare in maniera fresca e innovativa un tema particolarmente abusato in ambito cinematografico come quello delle intelligenze artificiali. A riuscirci in maniera brillante è Alex Garland, sceneggiatore di capolavori come Sunshine o 28 giorni dopo, con il suo atteso debutto dietro la macchina da presa, Ex Machina. Il programmatore Caleb (Domhnall Gleeson) ha la possibilità di un sopralluogo presso il laboratorio di ricerca della BlueBook, dove si sta sviluppando una prima intelligenza artificiale umanoide dal nome Ava. Il giovane informatico, toccato umanamente dalla prigionia a cui è costretta la “ragazza”, decide di aiutarla a scappare. Le cose, ovviamente, non andranno come sperato. Una pellicola profonda e intelligente, dove nessuno è quello che appare, né gli umani, né tantomeno le macchine.

3

1. Slow West – John Maclean

Negli ultimi anni, grazie alle numerose operazioni nostalgia condotte da registi quali Tarantino e Miike, il genere western ha riacquistato popolarità tra il grande pubblico diventando allo stesso tempo oggetto di rivisitazioni artistiche e concettuali che rendessero le nuove pellicole adatte ai nostri tempi. Tra queste operazioni si inserisce il bizzarro e alquanto atipico Slow West, primo vero lungometraggio di John Maclean, già vincitore del Premio della giuria al Sundance Festival di questo anno. La pellicola intraprende una strada ben diversa da quella maestra delineata da Peckinpah e Eastwood e con il suo ritmo dilatato, la sua lenta andatura, descrive un cammino tanto leggero quanto spietato, tanto disordinato quanto lineare. Maclean in questo percorso di destrutturazione sembra attingere a piene mani da fonti completamente diverse, come quella dello splendido Dead Man di Jim Jarmusch, da cui riprende lo stratagemma degli incontri fortuiti con personaggi spesso grotteschi e le atmosfere così realistiche da risultare stranianti e surreali, ma anche dallo black humor marchio di fabbrica dei fratelli Coen. Allo stesso tempo Slow West vive di forza propria sul piano estetico-pittorico. I dialoghi sono ridotti all’osso, i silenzi si caricano di tensione e la messa in scena finisce per obbedire esclusivamente alla “priorità del visivo”.