Giornata della Memoria: 5 film da vedere per non dimenticare

Film per il Giorno della Memoria – (Foto: Ufficio stampa) – Newscinema.it

Questi cinque titoli, tra storie tragiche, narrazioni grottesche e favole nere, condividono tutti la potenza di un racconto in grado di preservare, ognuno con il proprio stile, forma e genere di riferimento, il ricordo della Shoah

Il 27 gennaio è la Giornata internazionale della Memoria, che ricorda le vittime dell’Olocausto. La data non è casuale: in quel lontano giorno del 1945, l’Armata Russa entrava nel campo di concentramento di Auschwitz per liberare i prigionieri ancora vivi. Anche in questo caso, il grande schermo costituisce una fonte variegata di titoli che permettono di non dimenticare le atrocità del nazismo, tenendo vivo il ricordo di tutte le vittime nei lager.

Film noti come La scelta di Sophie (1982), Schindler’s List (1993)  Il pianista (2002) o Il bambino con il pigiama a righe (2008), ad esempio, sono tutti dei grandi e premiati esempi cinematografici che hanno saputo preservare il ricordo della Shoah. Ci sono però anche tanti altri film che, nel ricordo delle vittime dell’Olocausto, andrebbero riscoperti.

Parliamo di titoli che, a modo loro, hanno saputo fornire un punto di vista o una descrizione originale sulla tragedia che sì verificò nei lager nazisti. Ecco allora cinque potenti film diversi per genere, forma e stile, da vedere in occasione della Giornata della Memoria.

Kapò (1960)

Diretto dal regista, sceneggiatore, attore, compositore e partigiano italiano Gillo Pontecorvo, Kapò fu nominato per l‘Oscar al miglior film straniero nel 1961. Il film racconta la storia di Edith (Susan Strasberg), un’adolescente ebrea residente a Parigi che in un attimo si trova gettata nell’inferno di un campo di sterminio tedesco.

Nell’incubo che sta vivendo vede morire i suoi genitori, cosa che fa nascere nella giovane e ingenua fanciulla un senso di sopravvivenza feroce e inaudito. Più che storia, infatti, Kapò racconta la cruda discesa agli inferi di una giovane donna, che da vittima viene trasformata dalla crudeltà disumanizzante nazista in carnefice e infine (attenzione spoiler) in martire per amore.

Arrivederci ragazzi (1987)

Au revoir les enfants è un film del 1987 di Louis Malle, esponente della Nouvelle Vague. Il regista, noto per la qualità formale dell’immagine e alla dimensione figurativa, ha firmato qui una pellicola delicata e sofisticata (non a caso premiata con il Leone d’oro alla 44ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia), basata su una storia realmente vissuta durante la sua infanzia. Il film è ambientato in Francia, nel gennaio del 1944: con l’avanzare della guerra l’undicenne Julien Quentin (Gaspard Manesse), insieme al fratello più grande, viene mandato nel Collegio dei Carmelitani Scalzi di Fontainebleau.

Qui, il ragazzo incontra un ragazzo timido e misterioso, di nome Jean Bonnet (Raphaël Fejtö). Tra i due, pian piano, nasce una sempre più profonda e sincera amicizia, fino a che Julien non scoprirà che Jean non è cattolico come tutti gli altri, bensì ebreo. Quando all’esercito tedesco arriva la soffiata della presenza di ebrei nel collegio (attenzione spoiler), la Gestapo farà immediatamente irruzione.

Malgrado i disperati tentativi dei preti di salvarli, Jean e altri due ebrei, insieme al direttore del collegio, vengono portati via per intraprendere un viaggio che si concluderà solo con la morte. Julien lo guarda allontanarsi e nonostante il sacerdote li saluti dicendo “Arrivederci ragazzi, a presto!”, capisce che non li rivedrà mai più.

This Must Be the Place (2011)

Co-scritto e diretto da Paolo Sorrentino e interpretato da Sean Penn, è il primo film del regista partenopeo in lingua inglese, presentato in concorso al Festival di Cannes 2011 e vincitore di sei David di Donatello. Il titolo del film è un tributo alla canzone This Must Be the Place (Naive Melody) dei Talking Heads, inclusa nell’album Speaking in Tongues del 1983. Questa la storia: Cheyenne, celebre rockstar negli anni Ottanta come leader dei The Fellows, ha ormai abbandonato le scene da tempo e passa le sue giornate in un’enorme villa insieme alla moglie Jane (Frances McDormand).

L’uomo, che sta attraversando un periodo di profonda depressione, riceve all’improvviso la notizia che il padre, con cui non ha rapporti da oltre trent’anni, è prossimo alla morte e decide allora di fargli visita, salvo arrivare quando è già deceduto. A questo punto, Cheyenne scopre che il genitore stava conducendo una ricerca su Aloise Lange, un ufficiale tedesco che durante la Seconda Guerra Mondiale lo aveva umiliato in un campo di concentramento nazista, decidendo così di mettersi sulle tracce dell’uomo al posto del padre. “Ci sono molti modi di morire, il peggiore è rimanendo vivi”, riporta il diario del padre di Cheyenne.

Sean Penn e Paolo Sorrentino, This Must Be the Place
Sean Penn e Paolo Sorrentino, This Must Be the Place (Foto: Ansa) – Newscinema.it

Il figlio di Saul (2015)

Opera prima di László Nemes, Il figlio di Saul ha partecipato in concorso al Festival di Cannes 2015, dove ha ottenuto il Grand Prix Speciale della Giuria. Dopo Mephisto (del 1981, per la regia di István Szabó) questo titolo rappresenta il secondo film ungherese a vincere un Oscar al miglior film straniero.

Per tutti e 107 i minuti di durata, la macchina da presa segue ossessivamente Saul Ausländer (Géza Röhrig), un membro ungherese del Sonderkommando, il gruppo di prigionieri ebrei isolati dal campo e costretti ad assistere i nazisti nella loro opera di sterminio. Un giorno, dopo che Saul vede uccidere un ragazzino inspiegabilmente sopravvissuto alla gassificazione, comincia a sostenere che quella vittima sia suo figlio e si mette alla disperata ricerca di un rabbino per dargli una degna sepoltura.

La pellicola, nel mentre, racconta una protesta realmente avvenuta nel campo di concentramento di Auschwitz, attraverso una scelta stilistica che trasmette l’orrore, l’angoscia e la rabbia in una maniera inedita e interessante. Il background di ogni inquadratura rimane infatti pervaso da una perenne sfocatura, dove i corpi delle vittime ergono gli uni sopra agli altri in maniera evanescente, immateriale, quasi invisibile. A fuoco, c’è solo il protagonista e le persone con cui egli entra in contatto. Solo alla fine (attenzione spoiler) capiremo che quel ragazzino, che il protagonista tiene sempre in braccio con dolore e premura, non è suo figlio. Il fatto è che Saul sa che seppellire un corpo significa salvarlo, e che salvarne uno significa salvarli tutti.

Jojo Rabbit (2019)

Scritto, diretto e interpretato da Taika Waititi (nella parte di Adolf Hitler), Jojo Rabbit è liberamente tratto dal romanzo del 2004 Il cielo in gabbia (Caging Skies) di Christine Leunens. Il film è una commedia nera sul nazismo con protagonisti Scarlett Johansson, Roman Griffin Davis, Thomasin McKenzie, Rebel Wilson, Stephen Merchant, Alfie Allen e Sam Rockwell.

Vincitrice di un Premio Oscar e un Premio BAFTA, la favola nera di Waititi si svolge in una pittoresca e immaginaria cittadina dominata dai nazisti, dove il piccolo Jojo (chiamato da tutti Rabbit, perché considerato un fifone imbranato), vuole unirsi alla Gioventù Hitleriana per proteggere la madre single (Scarlett Johansson), che ama più di ogni altra cosa.

Per lenire le insicurezze, Jojo si fa accompagnare da un amico immaginario che lo aiuta a superare le difficoltà della crescita: una versione grottesca, infantile e strampalata del Führer, (portato sullo schermo, come detto, dal medesimo Waititi). Toccante e d’impatto, Jojo Rabbit è una favola contro l’orrore nazista tanto surreale quanto emozionante.