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Giornate degli Autori 2023: tutto quello che devi sapere | Programma ed eventi

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Tutte le informazioni utili sulle Giornate degli Autori

Festival di Venezia – Fonte: ANSA Foto – Newscinema.it

Ecco tutte le informazioni utili sulla 20esima edizione delle Giornate degli Autori 2023 a Venezia 80. Prendete carta e penna perché ci sono veramente tante cose da appuntare, in quanto il programma è molto ricco.

È un programma ricchissimo quello che troverete alla 20esima edizione delle Giornate degli Autori 2023 a Venezia 80. Anche quest’anno, al Festival di Venezia parteciperanno numerosi ospiti, i quali non presenteranno solo i “loro film”, ma parleranno anche con il pubblico e risponderanno alle domande della stampa.

Le Giornate degli Autori, insieme alle associazioni che promuovono l’evento, ANAC e 100autori, sono liete di festeggiare la loro 20esima edizione al Festival di Venezia, portando un vastissimo programma all’ 80ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Buona lettura.

Tutto quello che c’è da sapere per seguire le Giornate degli Autori 2023

Ecco quali sono tutte le informazioni utili da sapere, per assaporare meglio la 20esima edizione delle Giornate degli Autori 2023, che si terrà dal 30 agosto al 9 settembre, presso l’80 Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. L’immagine simbolo dell’anno per quanto riguarda il suddetto evento, ritrae l’opera di Anna Franceschini, Doposole, nella quale si interseca il passato con il presente, dove dialogando con il tempo, lo si interroga con la speranza di trovare la propria identità. Ed è proprio questo lo scopo del Festival, permettere agli emergenti autori e autrici, di trovare la propria identità lavorativa, avendo il coraggio di uscire dalla loro zona di comfort.

Perfetto, preambolo a parte, alla mostra di quest’anno verranno presentati 10 film in concorso, 7 eventi speciali, 8 titoli per quanto riguarda le “Notti Veneziane”, una serata dedicata al cinema del Quebec con Jean-Marc Vallée e 4 proiezioni speciali in Casa Laguna presso la “Casa degli Autori”.

Ecco le informazioni utili da sapere per questa 20° edizione delle Giornate degli Autori

20° edizione delle Giornate degli Autori 2023 – Fonte: Venezia 80 – Newscinema.it

Parliamo dei primi 3 film in concorso

Sul sito ufficiale delle Giornate degli Autori 2023, troverete tutte le date relative per ogni singolo evento presentato nel programma, in modo da non perdervene nessuno. Vi servirà un quaderno bello ampio, in quanto ci sono veramente molte date da segnare, per seguire Venezia 80 in maniera completa. Anche perché ricordiamo che determinati film saranno trasmessi anche fuori dalla Mostra, per il pubblico, i quali resteranno visionabili per 72 ore.

Sul sito ufficiale del Festival di Venezia troverete anche i costi per partecipare direttamente alla mostra, o tra il pubblico e infine per poter visionare le repliche delle anteprime. Insomma di cose da sapere ce ne sono molte. Detto questo, ecco i primi tre film in concorso di questa 20esima edizione delle Giornate degli Autori 2023.

1. Los océanos son los verdaderos continentes

Los océanos son los verdaderos continentes è il film d’apertura di questo evento, portato dall’esordiente regista milanese Tommaso Santambrogio, nella sezione dei lungometraggi. La storia è ambientata a Cuba e tocca la vita di tre generazioni messe a confronto.

2. Sidonie au Japon

Sidonie au Japon, è il terzo lungometraggio presentato dal regista francese Élise Girard, il quale mostra il viaggio fisico e interiore di Sidonie, nella speranza di ritrovare sé stessa.

3. Kanata no uta

Kanata no uta, è stato realizzato da uno dei nomi più interessanti del cinema asiatico, cioè Kyoshi Sugita. In questa storia viene affrontato in maniera molto lineare il tema dell’empatia e dell’altruismo, attraverso gli occhi di una ragazza solitaria ma molto attenta al genere umano.

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Joker: Folie à Deux, un film con le idee molto chiare sul suo protagonista, ma non basta

Joker: Folie à deux, a differenza del primo capitolo, è un film molto più consapevole del messaggio che vuole veicolare, meno fraintendibile sul piano politico, meno ambiguo.

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La recensione di Joker: Folie à Deux (Foto: warner bros.) – Newscinema.it

2.5 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

Il protagonista di Joker: Folie à Deux ce lo dice chiaramente, è una vittima di un sistema che non tutela i più fragili, ma soprattutto un ostaggio di quei fanatici che – nel nome di Joker, non in quello di Arthur Fleck – hanno deciso di mettere a ferro e fuoco Gotham, mossi da un vaghissimo senso di protesta anti-establishment (il riferimento è ai fatti di Capitol Hill).

A non essere chiara, stavolta, è l’intenzione cinematografica. Se il precedente film spogliava il cinecomic della sua avvenenza, della sua intrinseca ironia (almeno per come funzionano quelli di maggiore successo) prediligendo una narrazione dura, cupa e asciutta, stavolta, con l’ampiamente annunciata svolta musicale, Todd Phillips si trova a lavorare con una materia che evidentemente non lo appassiona più di tanto e alla quale non vuole dedicare troppo studio. Questo secondo film non è infatti un musical tradizionale, eppure le canzoni occupano tantissimo spazio.

Tutte le esibizioni e le coreografie (su cui è evidente che non si è voluto lavorare in maniera rigorosa) vengono relegate a momenti di fantasia escapista che non aggiungono nulla al racconto e non forniscono nuove chiavi di lettura per quello che si sta vedendo.

Sono degli intermezzi posticci, reiterati fino allo sfinimento – per giunta con lo stesso stratagemma di regia e montaggio – con l’unica ragione apparente di fornire a Lady Gaga (che qui canta ma recita pochissimo, essendo il personaggio di Harley Quinn praticamente inesistente) e a Joaquin Phoenix un palcoscenico sul quale risplendere.

Joker: Folie à deux, un musical a metà

Joker, Folie à deux vive interamente nella mente divisa in due del suo anti-eroe, che conoscerà l’amore per la prima volta. Amore che, però, non può valere contemporaneamente per Joker e per Arthur, essendo le due personalità differenti e incompatibili (vittima e carnefice, inconsapevole e consapevole). Nella confusione c’è, ovviamente, la tragedia.

Chi ha commesso gli omicidi per cui il protagonista è trascinato a processo: il bambino indifeso, abusato fin dall’infanzia, maltrattato dalla società e abbandonato da tutti, o l’adulto lucido e cosciente di sé che non conosce altra fede se non quella della distruzione e del caos? In poche parole, Arthur Fleck o Joker?

La questione non è di poco conto e il film ha, per lo meno, una sua risposta, che tira in ballo la responsabilità individuale e collettiva, la giustizia e la sua assenza in una società che, trincerata nelle proprie contraddizioni, riduce gli spazi di comprensione e di solidarietà. In questo senso, Todd Phillips riflette anche sulle conseguenze – involontarie, ma sicuramente alimentate da una debolezza di fondo – del primo film, che ha fatto del Joker di Phoenix un simbolo di tante comunità tossiche e incel.

Una bandiera di regressione e suprematismo che qui, in questo secondo capitolo, sventola nel vento di rabbia, insoddisfazione e frustrazione che gli emuli del protagonista provano nella loro quotidianità e sfogano davanti all’aula di tribunale in cui si svolge il processo al loro idolo (processo che è anche, intelligentemente, uno show televisivo in diretta).

Questo secondo film sul Joker poteva essere un thriller di prigionia ancora più sporco e realistico del precedente. Poteva essere un atipico court drama sulla spettacolarizzazione della giustizia o, ancora, un doloroso musical sulle speranze irrealizzabili di futuro. Insomma, poteva essere tante cose e finisce per non essere nulla.

Ed è un peccato che un film finalmente così a fuoco rispetto alla caratterizzazione e alla collocazione del suo protagonista – che risolve anche quell’apparente accondiscendenza rispetto alla repressione brutale della polizia che emergeva nel precedente lungometraggio – non trovi mai una forma cinematografica adeguata a raccontare la sua storia.

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Venezia 81 | Horizon: Capitolo 2, prosegue l’epica e ambiziosa saga di Kevin Costner

Il secondo capitolo della “American saga” ideata, diretta e prodotta da Kevin Costner prosegue le tante storie aperte nel primo capitolo. Presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.

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La recensione di Horizon 2 (Foto: ufficio stampa) – Newscinema.it

Venezia 81 | Horizon: Capitolo 2, prosegue l’epica e ambiziosa saga di Kevin Costner
3.1 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

È finalmente chiaro, con il secondo capitolo di questa “American saga”, in cui cominciano ad avere una direzione più precisa molte delle traiettorie tracciate nel primo, che l’epopea western di Kevin Costner è fatta soprattutto di attese, di informazioni e accadimenti dosati in tempi lunghissimi, di personaggi che vengono solamente annunciati, declinati al futuro in un racconto che nessuno sa mai se effettivamente arriverà al punto di farceli conoscere davvero, in maniera approfondita ed esaustiva.

Ci sono infatti luoghi e situazioni destinati all’oscurità, a cominciare dalla stessa Horizon del titolo, città che rimane ancora un miraggio, anche per lo spettatore. Un vicolo cieco, una chimera pubblicizzata da un volantino che la evoca con tragica ironia.

Ci sono linee della narrazione che necessitano di essere ricomposte e altre che vengono drasticamente interrotte (quella dei cacciatori di taglie di Jeff Fahey, così come quella del tenente Sam Worthington). È un teatro di fantasmi quello di Costner e non è un caso che questo secondo episodio si apra con le immagini dell’uomo da cui dipende tutta la saga, quello che ha spalancato il sogno di una nuova città da costruire dal nulla, ovvero il mister Pickering di Giovanni Ribisi.

Lo vediamo nell’incipit e poi lo ritroviamo nell’ultima scena, come anticipazione del prossimo capitolo, come uno spettro che trascina con sé oscuri presagi. Simbolo dell’arroganza del capitale o sfacciato genio che gioca con il destino degli uomini?

È una delle tante domande che rimangono inevase anche in questo nuovo film, interessato specialmente a indagare i meccanismi che regolano la vita in comunità e le relazioni del singolo con il gruppo. Chiaramente – e non è una sorpresa per chi ha visto il primo capitolo – lo fa con logiche che sono quelle del cinema più classico (più vecchio, anche, potremmo dire), con quei codici morali ormai totalmente superati e con quella concezione un po’ riduttiva delle minoranze e della femminilità.

Horizon | il secondo capitolo del sogno di Costner

Quello che veramente sta a cuore a Kevin Costner è raccontare lo spazio, la vastità di un continente che è ostile innanzitutto per le sue dimensioni, in cui anche semplicemente attraversarlo diventa un’avventura angosciante, straziante, faticosa.

Nulla in Horizon è piacevole o di sollievo: non lo sono i paesaggi, con cui i protagonisti hanno invece una relazione problematica, e non lo sono le altre persone, a cui spesso si è legati esclusivamente da ragioni utilitaristiche. E anche quando c’è di mezzo l’amore, l’affetto, questo è innanzitutto una limitazione, qualcosa nel nome del quale bisogna fare dei sacrifici dolorosi.

Un freno che la realtà pone alle proprie ambizioni e non uno strumento di liberazione ed emancipazione. Non c’è nessuna legge di giustizia in queste distesa di terra, ma solo la legge della convenienza, la necessità di calcolare cosa è meglio fare e con chi è meglio legare per avere più possibilità di sopravvivenza.

“Giusto” e “sbagliato” sono concetti che nascono con l’organizzazione sociale, con la sedentarietà, e che non esistono ancora quando ci si muove in carovana. L’etica, la morale, è volubile come il cielo che sovrasta i carri di questi pionieri ed è qualcosa di cui si può discutere solamente quando ci si è “sistemati”, quando si ha un tetto sopra la propria testa e una minima sicurezza del proprio futuro.

È quindi ancora più chiaro in questo secondo capitolo che a Costner non servono troppi “villain”, nemici da affrontare a colpi di pistola, perché ogni cosa è già una lotta: la convivenza forzata con degli sconosciuti, il viaggio in territori ignoti che non sono ancora stati plasmati dall’uomo per risultare accoglienti, abitabili. Rimane però, ancora più intensa, dopo la conclusione di questo secondo capitolo, la sensazione di trovarsi davanti a un progetto più adatto alla televisione che al cinema.

E in qualche modo Costner, che questo Horizon lo ha sempre immaginato come un’epopea cinematografica, pensata per il buio della sala, gioca ironicamente su questa aspettativa tradita, alimentando la bulimia del pubblico sempre più ben disposto verso la serialità, con un trailer di “ciò che verrà” nei prossimi episodi che, esattamente come accadeva alla fine del primo capitolo, promette sempre di più di quello che si è già visto, rimanda l’azione e la spettacolarità a un secondo momento. Come a dire: avrete quello che volete.

Gli inseguimenti, gli assalti, i duelli, le sparatorie. Ma anche questa, forse, come il volantino di Horizon, sembra una promessa destinata a rimanere tale, una pubblicità ironicamente ingannevole nei confronti di un pubblico che – il risultato al botteghino lo dimostra – chiede altro. Un gioco di rimandi anche con la serie tv (Yellowstone) che lo ha fatto tornare popolare e che ha abbondato per dedicarsi al Cinema con la “C” maiuscola. Che assomiglia sempre di più ad altro.

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Venezia 81: Takeshi Kitano fa ridere il festival con il nuovo Broken Rage

Takeshi Kitano torna a riflettere sul cinema e su sé stesso con Broken Rage, divertissement teorico che annulla definitivamente la separazione tra Kitano regista, autore, comico e performer.

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Venezia 81: Takeshi Kitano fa ridere il festival con il nuovo Broken Rage
4 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

Il nuovo Broken Rage di Takeshi Kitano è una lezione di poco più di un’ora su come violenza e umorismo possano essere linguaggi che seguono la stessa grammatica cinematografica e sul modo in cui una stessa storia possa essere raccontata con i codici del primo o del secondo. Due film in uno: uno yakuza movie appena abbozzato, senile, di una semplicità e rapidità che sembrano quelle dell’ultimo Eastwood, e poi quello stesso film parodiato, riproposto quasi frame-by-frame ma in chiave comica.

Uno specchio che rivela cosa serve (e cosa no) per far funzionare il dramma e la commedia. A cosa si può rinunciare e cosa invece necessariamente deve essere lì affinché il meccanismo narrativo giri senza incepparsi. Quale caratterizzazione debba avere il protagonista quando lo caliamo in contesti differenti: carismatico anti-eroe se si vuole raccontare una storia di redenzione o, nel caso della commedia, eterno sconfitto con cui empatizzare, gangster per sua natura “fantozziano”, tapino costretto ad obbedire al padrone di turno, di cui è un miserabile e ridicolo sottoposto.

Un film che, in ogni caso, sintetizza una carriera che dalla metà in poi si è fatta parodia consapevole di sé stessa e ha accettato la comicità come elemento insostituibile, anche quando si raccontano storie che non la prevederebbero (si pensi al recente Kubi).

D’altronde anche nella prima metà di Broken Rage, che teoricamente dovrebbe essere quella più “seria” – la storia che lo spettatore deve conoscere per poi comprendere la relativa parodia – è impossibile, in alcuni casi, trattenere la risata, a dimostrazione di una irrisolvibile commistione tra i due codici, quello del dramma e della commedia, e di una maschera, quella di Kitano, che oramai è impossibile associare esclusivamente all’autore di Hana-Bi, Sonatine, Violent Cop, senza considerare il mattatore televisivo, lo showman compiaciuto anche del suo ruolo di giullare.

Broken Rage | il ritorno del Kitano comico

Con una messa in scena ridotta ai minimi termini, Kitano elimina tutto ciò che non è gag e mette a nudo il gesto comico, che, come ci ha spiegato lungo tutta la sua filmografia, non è così differente dal gesto violento. Entrambi, infatti, nascono dalla volontà di imporre qualcosa su qualcuno: il proprio potere, il proprio dominio, sia attraverso l’afflizione di dolore fisico sul corpo altrui, sia attraverso “forzature” e stratagemmi di coercizione (narrativa, per lo meno) che inducono la risata quasi istantaneamente, come meccanismo di reazione psico-fisico impossibile da controllare e da tenere a bada.

Nei due casi, quindi, si tratta sempre di una manipolazione, di una prepotenza che ha effetti spesso molto simili: lo shock, lo spaesamento, la confusione. Violenza e umorismo funzionano meglio quando inaspettati, ingiustificati, come manifestazioni parossistiche che colgono alla sprovvista.

Deliberatamente Kitano, specialmente nella seconda metà, quella comica, si disinteressa della coerenza logica e della coerenza cinematografica, esibendo, senza nasconderli, “errori” di montaggio, concedendosi soluzioni narrative talmente sciatte e sbrigative che in altri film non sarebbero accettabili e che qui invece – e la cosa viene subito fatta comprendere allo spettatore – risultano tollerabili perché tutto è sacrificato sull’altare della gag, dell’umorismo come obiettivo ultimo a cui tendere.

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