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The Son: recensione in anteprima | Come gestire un figlio depresso?

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Hugh Jackman in The Son

The Son: recensione in anteprima | Come gestire un figlio depresso?
3.3 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
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In sala da giovedì 9 febbraio 2023, The Son è il nuovo film firmato Florian Zeller, adattamento cinematografico della piece teatrale Le fils (2018), scritta dallo stesso Zeller. Hugh Jackman, Laura Dern e Vanessa Kirby sono i protagonisti dell’intensa pellicola.

Passato anche in concorso alla 79esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il film è incentrato sulle vicende di una famiglia, alle prese con un figlio affetto da una depressione acuta. The Son fa parte del progetto di una trilogia firmata da Florian Zeller, e arriva a distanza di due anni da The Father – Nulla è come sembra.

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Zen McGrath, Laura Dern e Hugh Jackman in una scena di The Son

Il cineasta francese torna a parlare di famiglia, scegliendo, anche in questa occasione, un particolare punto di vista. Se nella precedente opera, era quello della figlia (Olivia Colman) di un uomo affetto da Alzheimer (Anthony Hopkins), qui entriamo nei panni di due genitori (Jackman e Dern) con un figlio adolescente che ha perso la voglia di vivere.

Nicholas (interpretato dal bravissimo Zen McGrath) ha 17 anni e un malessere perpetuo, che non gli permette di godere della sua età, e delle possibilità a essa legate. La scuola non gli fornisce gli stimoli giusti, così come i suoi coetanei. Preferisce quindi trascorrere le giornate passeggiando per le vie di New York e, talvolta, procurarsi delle ferite per mandar via il dolore.

Sì, perché in realtà, Nicholas non fa che convivere con un dolore attanagliante. Intrappolato nei suoi pensieri e impossibilitato a liberarsene, cerca aiuto dove e come può. Ma nessuno, nemmeno i suoi stessi genitori, riesce a comprendere sino in fondo la sua situazione.

The Son | Tra strazio e frustrazione

Replicando il punto di partenza di The Father – per cui chiama di nuovo al suo fianco il co-sceneggiatore Christopher Hampton – Zeller realizza un’opera di grande impegno e sensibilitàThe Son porta lo spettatore a vivere un momento esistenziale emotivamente spaventoso e frustrante. Per oltre due ore, si ha la sensazione di essere dentro una bolla, sempre sul punto di scoppiare.

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Hugh Jackman in una scena di The Son

Una ninna nanna ci introduce alle vicende, cullandoci nell’idea (e nell’immagine) di una famiglia felice, serena, appagata. Passa qualche minuto e tutto viene svelato. Di mezzo c’è un divorzio, di cui ne ha fatto le spese maggiori il figlio, ormai adolescente, cresciuto nella convinzione di essere stato abbandonato dal padre.

Il bisogno di una figura maschile accanto, oltre alla stima nei confronti del genitore che non è mai venuta bene, hanno reso il ragazzo fragile, insicuro e insoddisfatto. Se, in apparenza, la questione può sembrare banale, a uno sguardo più attento emerge, prorompente e inarrestabile, quanto sia complicata.

Quando l’amore non è abbastanza

Il tema della depressione dilaga e avvolge ogni aspetto della narrazione, gettando tutti – personaggi e pubblico – nel buio più totale. Gli attimi, centellinati e dotati di una straordinaria bellezza, in cui le cose sembrano andare per il verso giusto, concedono un attimo di respiro prima che si venga risucchiati nuovamente. Per sempre.

La famiglia protagonista affronta qualcosa di inatteso e inimmaginabile, qualcosa che lascerà segni su ognuno di loro. Sensi di colpa e recriminazioni tengono lontana la possibilità di dialogo. Per quanto sia fondamentale, non esiste un vero canale di comunicazione tra padre e figlio. Non perché entrambi non lo desiderino, ma per la distanza che li separa, fatalmente.

L’amore non è, purtroppo, sufficiente a colmarla. Non esiste una spiegazione razionale, nè un rimedio semplice. Ed è così che Zeller mette in luce una situazione tanto comune, quanto terrificante, spingendo a riflettere e a porsi delle domande. Ma quali saranno le nostre risposte?

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Un fantasma in casa: la recensione del nuovo film con David Harbour

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David Harbour e Anthony Mackie in Un fantasma in casa

Un fantasma in casa: la recensione del nuovo film con David Harbour
3.3 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

Disponibile su Netflix e diretto da Christopher Landon, Un fantasma in casa è una divertente commedia, a metà tra l’horror e il sovrannaturale, con David Harbour protagonista. La pellicola si basa sul racconto breve di Geoff Manaugh, intitolato Ernest.

Sulla falsariga di film come Sospesi nel tempo e S.O.S. fantasmiUn fantasma in casa riprende le suggestioni del passato e le adatta ai tempi moderni. Gli elementi classici, alla base di progetti come questo, ci sono tutti.

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Erica Ash e David Harbour in una scena di Un fantasma in casa

A partire da una casa infestata, un evento tragico che ha scatenato l’apparizione del fantasma, una famiglia ignara che si ritrova, suo malgrado, a fare i conti con la presenza sovrannaturale, una risoluzione dal quale trarre conclusioni non scontate.

Come appare chiaro, la nuova proposta di Netflix sfrutta la popolarità dei nomi del cast: in primis quello di David Harbour, amatissimo protagonista di Stranger Things, a cui si affiancano il supereroe Marvel, Anthony Mackie, e la star di The White Lotus, Jennifer Coolidge.

Una piccola curiosità riguarda la scelta di Harbour per la parte del fantasma. Pare, infatti, che l’attore abbia accettato di buon grado, ma non senza timori, la sfida di interpretare un ruolo che non prevedeva l’uso della parola.

Un fantasma in casa | La trama del film su Netflix

Un anno dopo la fuga dei precedenti proprietari, la famiglia Presley finisce per trasferirsi in una casa molto accogliente, luminosa, ampia, ma popolata da un fantasma di nome Ernest (Harbour). Se il figlio maggiore, Fulton (Niles Mitch), sembra adattarsi molto facilmente, anche grazie al suo inseparabile smartphone, per il minore, Kevin (Jahi Winston) le cose non vanno così lisce.

un fantasma in casa

Jahi Winston, Isabella Russo e David Harbour in Un fantasma in casa

In seguito all’ennesima discussione con il padre (Mackie), il ragazzo sale in soffitta, deciso a esplorare la sua nuova abitazione e, probabilmente, a trovare uno spazio che sia solo suo. Qui fa il suo primo incontro con Ernest. Ma, piuttosto che esserne spaventato, l’apparizione lo diverte molto e gli fa perdere di vista la rabbia nei confronti del genitore.

È così che si instaura tra i due un rapporto di amicizia e confidenza, che spingerà poi Kevin a scoprire la storia di Ernest, di modo da potergli dare finalmente un po’ di pace e liberarlo dalla sua prigionia.

Dalla commedia ai temi importanti

Un fantasma in casa parte dall’essere una semplice commedia, per arrivare a parlare di tematiche più importanti. Un esempio su tutti è, senza dubbio, il discorso della famiglia, della genitorialità e del rapporto tra padre e figli. Non a caso, lo stesso Ernest si rivelerà, nel corso della narrazione, un padre a sua volta.

Quando nasce un figlio, cambia completamente la percezione di colui o colei che diventa genitore, Da quel momento, ogni gesto, pensiero e decisione verrà guidato dal desiderio di proteggere e rendere felice. Ma non è sempre tutto così immediato e naturale.

L’amicizia tra Ernest e Kevin non fa che mettere in luce alcune delle difficoltà affrontate sia dall’adulto che dal teenager. Il punto di incontro esiste, ma servono tanto impegno, pazienza e volontà, per raggiungerlo e renderlo stabile.

L’horror che diverte

Mentre si parla di famiglia e si mostrano le dinamiche all’interno di una casa all’apparenza serena, la storia va avanti anche seguendo la linea thriller. Ed è, forse, questa commistione a rendere il progetto godibile e accattivante da diversi punti di vista.

Da non sottovalutare, inoltre, l’utilizzo degli effetti speciali, che permette di giocare con i generi cinematografici in maniera piuttosto intelligente. Punte di horror vengono toccate in alcuni (pochi) momenti, e ricordano cult come La morte ti fa bella. Ovviamente, a farla da padrona è la chiave comica, sebbene si apprezzino simili inserti.

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What’s Love? recensione | Il film romantico e multiculturale con Lily James

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ShazadLatif e Lily James in What’s Love?

What's Love? Cos'è l'amore? Recensione del film con Lily James
3.9 Punteggio
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In uscita, nelle sale italiane, giovedì 16 marzo 2023, What’s Love? è il nuovo film di Shekhar Kapur, con Lily James ed Emma Thompson. Una commedia romantica dal tocco british, con un pizzico di Bollywood, che regala emozioni semplici e genuine.

A distanza di quasi 15 anni dal precedente lungometraggio, dal titolo New York, I Love You (2008), il cineasta indiano torna dietro la macchina da presa. Lontano da opere storiche ed epiche, quali per esempio Elizabeth (1998) e Le quattro piume (2002), Shekhar Kapur realizza una romcom assolutamente godibile.

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Una scena di What’s love?

What’s Love? ha tutte le carte in regola per attrarre un’ampia fetta di pubblico, soprattutto femminile. Il punto di forza sta, sicuramente, nella scrittura, brillante e intelligente, che ben fotografa un preciso e realistico spaccato di vita.

Protagonista della pellicola, distribuita nelle sale italiane da Lucky Red, è la britannica e apprezzata Lily James. Smessi i pomposi abiti di Cenerentola, l’attrice 34enne si è imposta all’attenzione con il ruolo di Lady Rose Aldridge in Downton Abbey. Qui interpreta Zoe, una giovane documentarista alle prese con un progetto che dovrebbe determinarne la svolta in carriera.

Al suo fianco, una veterana come Emma Thompson, in una delle sue parti migliori. A lei si devono, infatti, alcuni dei momenti e delle battute migliori. Simpatica e travolgente, l’attrice veste i panni della madre di Zoe, Cath. Completa il cast, il londinese e poco noto (in Italia) Shazad Latif, al quale spetta il compito di far vacillare i sentimenti della protagonista.

What’s Love? | La trama del nuovo film di Shekhar Kapur

Zoe (James) ha una passione smisurata per il suo lavoro, oltre al talento e all’intraprendenza. In cerca di una nuova idea da proporre ai suoi finanziatori, si lascia intrigare dalla situazione del suo migliore amico, Kazim (Latif). Vivendo uno accanto all’altro, in un grazioso sobborgo di Londra, i due sono letteralmente cresciuti insieme.

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Shazad Latif e Lily James in What’s love?

Kazim sa tutto di Zoe, come lei sa tutto di lui. O almeno così credeva. Quando scopre che l’uomo sta per prendere moglie, si sente, in qualche modo e inconsciamente, messa da parte, e decide di saperne di più. Convinto dai genitori, Kazim ha, infatti, accettato un matrimonio assistito. Zoe coglie al volo l’occasione e chiede all’amico di poter riprendere tutte le varie fasi dell’organizzazione.

Nel corso delle ripresa e della ricerca, tra i due verranno fuori sentimenti inaspettati e latenti, che porteranno non poco scompiglio nelle rispettive vite e famiglie.

Dalla Festa del Cinema di Roma, un romanticismo non scontato

Presentato nella sezione Grand Public, alla 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma – dove si è aggiudicato il Premio Ugo Tognazzi alla Migliore commedia – What’s Love? si rivela una commedia sicuramente sopra la media del genere. Il merito va rintracciato, innazitutto, nell’ottima resa di una realtà multiculturale e moderna.

Zoe e Kazim appartengono a due famiglie diverse tra loro, ma capaci di convivere e condividere, nel massimo della serenità e della gioia. Il fatto di essere cresciuti insieme, permette ai due protagonisti di conoscersi meglio di quanto credono. Nel corso delle vicende, riflessioni naturali e comuni vengono a galla: è davvero possibile l’amicizia tra uomo e donna? Vale la pena rischiare un rapporto solido e bello per qualcosa di ignoto e, probabilmente, fallimentare? Come potersi fidare di ciò che si sente?

In poco più di 100 minuti, la pellicola propone una risposta a queste domande. Ed è, ovviamente, una risposta romantica, piena di speranza, ma non del tutto scontata.

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Luther: Verso l’inferno, la recensione | Un film che assomiglia più ad uno special televisivo

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Luther: Verso l’inferno, la recensione | Un film che assomiglia più ad uno special televisivo
2.9 Punteggio
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Poster di Luther: Verso l’inferno (fonte: Netflix)

Poster di Luther: Verso l’inferno (fonte: Netflix)

I fan di Luther, celebre serie della BBC andata in onda per quattro stagioni tra il 2010 e il 2019, potranno incontrare nuovamente l’ispettore della omicidi di Londra interpretato da Idris Elba in un nuovo film da oggi disponibile su Netflix.

Luther: Verso l’inferno non nasconde le sue ambizioni abbastanza modeste, dichiarando fin da subito la scelta di giocare nel campionato degli special televisivi più che in quello dei film autonomi tratti dalle serie tv (come ad esempio El Camino, per citare una operazione simile già fatta da Netflix). Mantiene questa promessa, ma non fa molto di più.

Una scena di Luther: Verso l’inferno (fonte: IMDB)

Una scena di Luther: Verso l’inferno (fonte: IMDB)

Scritto dal creatore dello show Neil Cross e diretto da James Payne (che ha diretto episodi non solo di Luther, ma anche di Outlander e The Alienist), il film riprende da dove la serie si è conclusa. Luther è ormai caduto in disgrazia, mentre un killer terrorizza Londra pianificando ed eseguendo una serie di raccapriccianti omicidi. In poco tempo il detective decide di tornare sul campo, mettendosi all’inseguimento del sadico assassino, mentre il nuovo capo della polizia, Odette Raine (Cynthia Erivo), si trova, per dovere di ufficio, a dover inseguire lo stesso Luther.

L’efficacia di un film come questo dipende in gran parte dalla possibilità di replicare i tratti distintivi della serie in un formato diverso e, in tal senso, Cross e Payne non sbagliano un colpo, riproponendo l’intrigante mix di azione dura e guerra psicologica che caratterizzava gli episodi televisivi, orchestrando un appassionante gioco del gatto e del topo che porta lo spettatore all’interno della mente di un serial killer atipico, che fa leva sulle debolezze delle sue vittime per convincerle a partecipare al suo macabro show.

Idris Elba ha il carisma e la presenza di una grande star del cinema, abituata ormai da tempo ad abitare il grande schermo, assolutamente a proprio agio nel formato cinematografico nonostante i suoi più grandi successi arrivino da serie come, appunto, Luther e The Wire. Tornando a vestire i panni del personaggio più iconico della sua carriera, uno che per tanto tempo è stato associato indissolubilmente al suo nome, Elba porta tutta l’esperienza maturata sui set cinematografici riuscendo, anche solo attraverso la propria interpretazione e la gravitas della sua prova attoriale, a far sembrare questo special televisivo più di quello che effettivamente è.

Idris Elba | un carisma da cinema sul piccolo schermo

È attorno a lui e alla sua presenza scenica che Verso l’inferno è costruito. Il personaggio di Cynthia Erivo rimane intrappolato nella classica figura autoritaria che oscilla tra due soli stati d’animo: apprensivo e ostinato. La sceneggiatura inserisce un retroscena personale per darle maggiore profondità, ma la sua backstory appare fin troppo meccanica e poco in sintonia con i temi generali del film. Andy Serkis, d’altro canto, si diverte ad interpretare l’antagonista, ma la sua performance non va mai oltre la sufficienza.

Idris Elba in Luther: Luther: Verso l’inferno

Idris Elba in Luther: Luther: Verso l’inferno

Con più di due ore di durata, il ritmo di Luther: The Fallen Sun non sempre regge la tensione. Quello che sarebbe potuto essere un thriller asciutto e teso, viene fagocitato da molto materiale estraneo, inserito quasi esclusivamente per raggiungere la lunghezza del lungometraggio (la stessa prima mezz’ora funge da preambolo espositivo privo di emozioni o interesse). Una scelta tanto più deludente se si considera che la serie originale è nota proprio per le sue brevi stagioni e gli episodi compatti e incisivi.

Man mano che la storia si svolge, l’intrigo psicologico si dissolve in ridicoli giochi gore conditi da molta violenza inutile. Il film, pur introducendo un’idea affascinante che spinge chi guarda a mettere in discussione la propria ossessione voyeuristica (alimentata forse da serie tv come quella di Luther?), non esplora mai davvero il tema e si limita ad utilizzarlo come pretesto per alzare il tasso di truculenza.

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