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Una serie di sfortunati eventi, 5 motivi per vedere la serie tv Netflix
Si mangia in un sol boccone la serie che da venerdì 13 è in onda su Netflix. Una serie di sfortunati eventi, ispirata all’omonima collana di libri scritti da Lemony Snicket e con Neil Patrick Harris fra i protagonisti, a sua volta adattamento televisivo del film con Jim Carrey. E’ stata una maratona essenziale che ha salvato i veri serial maniac da un week-end di freddo, gelo e neve. Otto episodi da divorare in men che non si dica, brillanti, divertenti (anche se alcuni lenti e didascalici), per raccontare una bizzarra storia d’amore, bramosia, vendetta ed amore fraterno, una serie che ha superato di gran lunga il film di qualche anno fa e che, nonostante i difetti latenti, è diventata un altro piccolo gioiello custodito da Netflix.
Con una seconda stagione già in lavorazione (almeno da quelle poche indiscrezioni che si leggono in rete), Una serie di sfortunati eventi, è la prima serie del 2017 che merita sicuramente la nostra attenzione. Il motivo principale? Noi ne abbiamo trovati ben 5.
Non chiamatela una serie ‘Young Adult’
Per le atmosfere barocche e decadenti e per quello stile che alla lontana ricorda il piccolo cult che fu Pushing Daisies, Una serie di sfortunati eventi pare essere una serie fuori moda, old fashion e soprattutto dedicata ad una fetta di pubblico giovane che è cresciuta fra le pagine dei racconti di Lemony Snicket. E’ invece una serie fresca, a tratti fanciullesca, ma non è un young adult. Le avventure al limite dell’assurdo di Violet, Klaus e Sunny, costruite fra inganni, misteri e rovesci di fortuna, rappresentano per i tre giovani protagonisti un viaggio fra i sentimenti umani, un percorso di crescita interiore, un’escalation di sentimenti.
Un percorso che nella sua irrealtà, innesca un qualcosa sia nello spettatore di vecchia data che in quello poco più giovane. La serie di Netflix non è un semplice intrattenimento costruito su un canovaccio che si ripete nell’arco di 8 episodi, ma è un racconto schietto e sincero sulla caducità dell’animo umano. Lo si intravede dalla follia quasi ossessiva del Conte Olaf oppure da tutti gli strambi personaggi che i ragazzini incontrano sul loro cammino; Una serie di sfortunati eventi convince proprio perché, attraverso una vicenda semplicistica, riesce a tratteggiare con cura i sentimenti più oscuri dell’essere umano.
Neil Patrick Harris: l’indiscusso Conte Olaf
Introspezione a parte, la punta di diamante della serie targata Netflix, è sicuramente Neil Patrick Harris. Forse niente sarebbe lo stesso senza lo charme, la bravura e la versatilità del celeberrimo attore americano. E’ proprio grazie alle sue doti recitative che il conte Olaf diventa il villain più ambizioso, esuberante e macchiettistico dello show. Il personaggio interpretato da Neil Patrick Harris, appunto, ha una tale forza che ha la capacità di reggere da solo le fondamenta della show, funziona in ogni ruolo, in ogni sua trasformazione. E benché gli abili protagonisti riescano a fuggire dalle magagne del conte, Olaf trova sempre una scappatoia, un modo per re-inventarsi e mettere mano alla tanta agognata eredità di Klaus, Sunny e Violet. Non si è immaginato attore migliore di Patrick Harris, nessuno avrebbe potuto interpretare in maniera così perfetta un personaggio pieno di luci ed ombre.
Ha un’impostazione teatrale
Tutto è basato su uno schema ciclico, che si ripete in maniera costante senza però che lo spettatore se ne accorga. Una serie di Sfortunati Eventi più che una serie dalle infinite sfaccettature, sembra essere una pièce teatrale prodotta per il pubblico televisivo (e telematico). Le battute pungenti, la scenografia sfarzosa e, appunto, le situazioni che continuano a ripetersi secondo uno schema ben preciso, fanno pensare ad una lunga rappresentazione teatrale atta principalmente ad intrattenere in maniera vivace e senza troppe pretese. Un’impostazione sicuramente fuori dal comune, una particolarità che rende ancora più invitante questo diamante (allo stato grezzo) fabbricato da Netflix.
Lemony Snicket, narratore onnisciente ed abile mattatore
E’ un espediente molto particolare quello di inserire, all’interno della narrazione, un personaggio che conosce fin da subito tutta la storia Questo accorgimento è fondamentale in Una serie di sfortunati eventi, infatti attraverso la voce calma e rassicurante di Lemony Snicket, il pubblico viene condotto passo passo all’interno della vicenda stessa, alla scoperta di sapori ed umori spesso celati nell’ombra e, soprattutto, la presenza di un narratore onnisciente, permette di stimolare la curiosità e la voglia di conoscenza dello spettatore.
Un’avventura mozzafiato e divertente, una favola romantica sugli affetti familiari
Una serie di sfortunati eventi ha sicuramente i suoi difetti – i quali man mano sono venuti fuori dopo la visione del pilot – rimane comunque una serie da tenere d’occhio. Nonostante tutto ed al di là del fil rouge che caratterizza tutti gli episodi, la serie di Netflix è uno show nato e concepito per il pubblico del web, per quella fetta di pubblico in cerca di una serie di stile ma intelligente ed accattivante; e soprattutto, Una serie di Sfortunati eventi è un racconto sui sentimenti, una storia che spazia ed analizza a fondo la fanciullezza dei bambini, i legami familiari, i rapporti genitori/figli e tutti i problemi che ne conseguono. La presenza del Conte Olaf è più che necessaria per tratteggiare un racconto fatto di percorsi, gioie e dolori, il tutto condito con un pizzico di sano perbenismo che, sicuramente, non guasta l’appetito.
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The Last of Us: recensione no spoiler della prima stagione | Tiriamo le somme

La recensione di The Last of Us – Newscinema.it
La prima stagione di The Last of Us è giunta al termine con il nono episodio in onda su NowTv e Sky. Dopo averla vista tutta, settimana dopo settimana, vi diciamo cosa ne pensiamo in una video recensione.
Si è conclusa da poco la prima stagione di The Last Of Us, la serie targata HBO ispirata all’omonimo videogioco che ha riscosso un enorme successo in tutto il mondo. Suddivisa in nove episodi di durata variabile e ambientata in un mondo post-apocalittico, The Last of Us continuerà con la seconda stagione già confermata.
Noi l’abbiamo vista tutta e nella video recensione qui sotto potete scoprire cosa ne pensiamo. Analizziamo pro e contro, condividiamo il nostro punto di vista su vari dettagli della serie e vi mostriamo anche un curioso video in cui è montato il videogioco con la serie in modo alternato per sottolineare la fedeltà di questa con il materiale originale.
La video recensione della prima stagione di The Last Of Us
The Last of Us: di cosa parla la serie
La serie HBO si svolge 20 anni dopo la distruzione della civiltà moderna. Joel, uno scaltro sopravvissuto, viene incaricato di far uscire di nascosto Ellie, una ragazzina di 14 anni, da una zona di quarantena sotto stretta sorveglianza. Un compito all’apparenza facile che si trasforma presto in un viaggio brutale e straziante attraverso gli Stati Uniti nel quale i due dovranno dipendere l’uno dall’altra per sopravvivere.
Tra le star della prima stagione troviamo Pedro Pascal e Bella Ramseynei panni dei due protagonisti principali insieme a Gabriel Luna, nel ruolo di Tommy, Anna Torv che interpreta Tess, Nico Parker è Sarah, Murray Bartlett è Frank, Nick Offerman è Bill, Melanie Lynskey è Kathleen, Storm Reid è Riley, Merle Dandridge è Marlene, Jeffrey Pierce interpreta Perry, Lamar Johnson è Henry, Keivonn Woodard è Sam, Graham Greene è Marlon ed Elaine Miles riveste i panni di Florence. Fanno parte del cast anche Ashley Johnson e Troy Baker (qui trovate la guida ai personaggi della serie).
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YOU 4: un professore che vive a South Kensington? | Gli errori dell’ambientazione inglese

La locandina di You – Newscinema.it
La seconda parte della quarta stagione di You comincerà il 10 Marzo su Netflix. In attesa dei nuovi episodi andiamo ad analizzare alcuni errori della sua ambientazione londinese.
La quarta stagione di You è iniziata circa un mese fa e il 9 marzo riprenderà anche la seconda parte. Dopo aver lasciato gli Stati Uniti e la sua vecchia vita, Joe Goldberg (Pen Badgley) si è trasferito a Londra, dove ha rubato l’identità di un professore universitario. Tutta la nuova stagione si svolge, quindi, nella capitale inglese, ma i fan hanno notato diversi errori sull’ambientazione europea che non si vedevano dai tempi di Emily in Paris.
Joe “ama” camminare
Nella serie, Joe dichiara che non gli dispiace camminare un po’ per recarsi al lavoro. Tuttavia, la distanza tra l’università nell’East London e il suo appartamento nel South Kensington è semplicemente ridicola. Per arrivare da un punto all’altro camminando, infatti, occorrono due ore: quattro, se si considera andata e ritorno. Una persona che percorre quattro ore a piedi tutti i giorni per andare a lavorare non è molto realistico.
Un professore che vive nel South Kensington
Dopo essersi trasferito, Joe smette di essere un bibliotecario e si trasforma in un docente universitario molto stimato. Per quanto un professore universitario possa essere una professione redditizia, è altamente improbabile che uno stipendio del genere basti per permettersi un appartamento come quello di Joe.
Il South Kensington è uno dei quartieri più costosi di Londra, dove un trilocale costa in media tra i due e i tre milioni di sterline. In un’intervista a Wired, l’attore ha spiegato che Joe può pagare la casa grazie all’eredità di Love, ma appare comunque una cifra improbabile.

L’appartamento di Joe – Newscinema.it
Un camino in ogni angolo
Si può notare che praticamente ovunque vada, Joe si ritrovi in un luogo dove c’è un camino, quasi a volere restituire un’ambientazione londinese vittoriana. Tuttavia, oggi a Londra i camini nelle case non sono così tanti, quasi il contrario. A partire dal 1956, infatti, il governo ha iniziato una campagna per eliminarli, in modo da diminuire il tasso di inquinamento e fumo nelle zone pubbliche.
L’esagerazione dello slang
Senza dubbio, lo slang inglese è molto popolare ed esistono tantissimi meme e parodie sulle differenze tra l’inglese e l’americano. Tuttavia, gli scherzi e le incomprensioni nella serie su questo fatto sono semplicemente esagerate. Basti pensare alla scena in cui Joe si trova in aula e non capisce che cosa si intenda con la parola “pants“. Un’intuizione non così difficile da comprendere, considerato il contesto.
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Incastrati 2: la recensione della serie Netflix | Ficarra e Picone alzano l’asticella

Ficarra e Picone nella serie Incastrati (fonte: Netflix)
La seconda stagione di Incastrati, serie Netflix ideata da Ficarra e Picone, prosegue sulla strada tracciata dalla prima, ovvero quella di ironizzare sulla dipendenza fanatica da serie tv, ma stavolta affina i propri meccanismi narrativi e lascia più spazio ai comprimari per emergere.
Lo schema logico della seconda stagione di Incastrati è identico a quello della prima: partendo dall’irriverente premessa, comicamente insolente verso lo stesso formato (quello seriale) scelto per inscenare le solite vicende di paese e di criminalità più o meno organizzata, Ficarra e Picone innescano una lunga una catena di equivoci e disavventure che sono il pretesto per fare satira sulla ‘cupola’ mafiosa, sulle sue connivenze con la “società civile” e sui meccanismi grotteschi che regolano il mondo dell’informazione che deve raccontarla.

Una scena dalla seconda stagione di Incastrati (fonte: Netflix)
Salvo Ficarra, nonostante tutto quello che è successo nella prima stagione, è ancora “incastrato” da un prodotto televisivo di pura invenzione (estremamente semplicistico e dozzinale come la media dei prodotti su piattaforma). E anche in questa seconda stagione, la serie entra ed esce dalla fittizia centrale di polizia dell’ispettore Jackson, protagonista di The Touch of the Killer e poi del sequel The Look of the Killer, che sia Salvo che sua ex-moglie Ester (per sentirlo più vicino dopo la separazione) seguono assiduamente.
Stavolta questo sottotesto è ancora più esplicito, le due serie (quella finta e quella vera) dialogano in maniera molto più serrata e sono sempre più frequenti i momenti in cui Ficarra e Picone si fermano per riflettere sui tempi delle serie tv, per giocare sugli stereotipi di quel tipo di narrazione, sugli incroci spesso assolutamente inverosimili tra la trama poliziesca e le vicende sentimentali dei protagonisti.
E persino per scherzare sulle diverse tipologie di prodotto televisivo e i diversi target di pubblico a cui questi si rivolgono (Robertino, il figlio di Agata, è appassionato di The Body Language, un’altra serie tv, molto più moderna e sofisticata di quella di cui è appassionato Salvo).
Incastrati | il ritorno su Netflix di Ficarra e Picone
I due comici siciliani lasciano maggiore spazio agli attori secondari, facendo emergere pian piano, in poche ma fondamentali scene, i personaggi di Tony Sperandeo nei panni di Cosa Inutile, quello di Sergio Friscia nel ruolo del retorico giornalista locale Sergione e soprattutto quello del procuratore capo Leo Gullotta (la sua entrata in scena è il vero punto di svolta di tutta la stagione).
Approfondendo questi comprimari, la seconda stagione di Incastrati ne guadagna in complessità, spesso ribaltando il giudizio che su di loro gli spettatori avevano maturato nelle prime puntate (c’è sempre qualcosa di peggio in agguato) e liberando quelle che inizialmente erano solo maschere grottesche dalla loro bidimensionalità, lavorando invece di sfumature per renderle drammaturgicamente interessanti.

Una scena dalla seconda stagione di Incastrati (fonte: Netflix)
Come spesso è accaduto poi nella carriera di Ficarra e Picone, bravissimi nel mettere in scena senza sconti le piccolezze dei loro connazionali, anche in Incastrati ci sono scene che involontariamente dialogano direttamente con l’attualità e con la cronaca degli ultimi mesi (quasi profetica, ad esempio, tutta la sottotrama del medico che agevola la latitanza di Padre Santissimo), fino ad arrivare a un finale che sembra essere stato scritto appositamente dopo la cattura di Matteo Messina Denaro (e che, invece, è “solo” frutto della penna di due autori sempre più raffinati).
Ancora una volta, Incastrati trova il modo di collegarsi direttamente a quel cinema di Rosi, Damiani e Germi, che Ficarra e Picone consapevolmente citano e indicano come loro stella polare. Eppure, questa seconda stagione della serie Netflix, se pur non sempre eccellente nella fattura registica e nel ritmo della narrazione, fa emergere la maturazione autoriale di due comici che hanno ormai le idee chiarissime sul loro lavoro e sul tipo di racconto che vogliono fare.
Le nuove sei puntate di Incastrati dimostrano come l’incursione seriale di Ficarra e Picone non sia stata solo un “capriccio” per presentarsi come moderni e salire sul carro del vincitore (le serie sul cinema?), ma come sia in realtà un coerente nuovo tassello della loro poetica.
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