The Quiet Girl: recensione | Uno struggente racconto di formazione

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Sabina Cattaneo in The Quiet Girl
The Quiet Girl: Uno struggente racconto di formazione | La recensione
4.4 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

Dopo il passaggio alla 72esima Berlinale, sbarca nelle sale italiane, giovedì 16 febbraio, The Quiet Girl. Candidato agli Oscar come Miglior Film Straniero, è diretto da Colm Bairéad ed è l’adattamento in lingua iralandese di Foster, storia breve scritta da Claire Keegan.

Comparsa per la prima volta sul New Yorker, la storia è stata ampliata e pubblicata come libro da Faber & Faber. Quando Colm Bairéad si è imbattuto in Foster, ne è rimasto folgorato, al punto da volerne adattare una versione per il grande schermo.

È stato assolutamente coinvolgente, empatico e intrinsecamente visivo. – Colm Bairéad

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Sabina Cattaneo in The Quiet Girl

Al centro di The Quiet Girl, troviamo Cáit (la sorprendente Sabina Cattaneo), 9 anni, timida e incompresa. La sua famiglia, infatti, oltre che numerosa, appare alquanto insensibile nei confronti delle sue esigenze. A mancare completamente è un affetto innato e spontaneo, che in qualche modo sopperisca alla povertà che regna in casa.

Purtroppo, i genitori di Cáit non hanno un bel rapporto e non riescono, nella maniera più assoluta, a impostare una sana routine, per nessuno dei loro figli. La ragazzina si ritrova, così, a cavarsela da sola, ma non sempre riesce, preferendo spesso la fuga al confronto diretto.

Le cose cambiano con l’arrivo dell’estate e nel momento in cui viene deciso di mandarla a stare per un po’ da una lontana cugina della madre, Eibhlín Kinsella (Carrie Crowley). La donna, insieme al marito Seán (Andrew Bennett), accolgono Cáit e se ne prendono cura. Pian piano anche la ragazzina comincia a prendere confidenza con la coppia e a sentirsi più sicura.

The Quiet Girl | Emozioni semplici e indelebili

La bellezza di un’opera quale The Quiet Girl è nella semplicità del racconto. Nulla appare di troppo o fuori posto, tutto è ridotto all’essenziale. Compresa la musica, talmente centellinata che, non appena se ne avverte un primo accenno, è come se si aprisse il “rubinetto delle lacrime”.

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Carrie Crowley, Sabina Cattaneo e Andrew Bennett in una scena di The Quiet Girl

Il motivo è chiaro: quando si ha una storia simile, sarebbe contro producente snaturarne l’intensità o il messaggio. Basta farli esprimere, di scena in scena, nel massimo della naturalezza e del realismo. La Natura – e gli scorci irlandesi in particolare – gioca un ruolo fomdamentale, accogliendo e accompagnando la protagonista, durante le fasi che attraversa.

La pellicola firmata da Bairéad regala molto più di quanto si immagini. Un tripudio di emozioni prende gradualmente il controllo di chi entra a contatto con le vicende di Cáit. Sebbene ci si trovi dinanzi a un comune racconto di formazione, ciò che lo caratterizza e, soprattutto, che si lascia dietro, non è in alcun modo scontato.

Il cinema catartico

The Quiet Girl tratta temi complessi, esistenziali, utilizzando il cinema quale strumento di catarsi. La storia di Cáit offre uno sguardo privilegiato sul senso della famiglia, della crescita, dell’amore incondizionato, del senso di perdita. La protagonista affronta momenti difficili e incomprensibili per l’età che ha, finendo per chiudersi in se stessa e tenere il mondo lontano da sè.

L’incontro con i Kinsella le mostra una nuova prospettiva, differente e inaspettata. L’affetto, che non ha mai ricevuto dai suoi stessi genitori, le viene ora riservato nei gesti più piccoli – come un biscotto sul tavolo, i bottoni chiusi di un cappotto, i capelli spazzolati. Grazie a questi, impara a fidarsi, ad aprirsi e, perché no, a conoscersi meglio.

Poco importa che, dietro un’attenzione e una dolcezza simili, si celi qualcosa di tragico. Conta, invece, quanta importanza tutto ciò abbia per la ragazzina. E, di rimando, per la coppia che ha deciso di “adottarla”, anche se solo per un breve periodo. Mentre Cáit ambia e cresce, Eibhlín e Seán riscoprono il loro essere innamorati.

Con un finale semplice, forse banale, ma di una potenza emotiva struggente, la pellicola si rivela un più che degno (e meritevole) candidato alla statuetta.