Venezia 75, The Sisters Brothers: John C. Reilly e Joaquin Phoenix in un western da ridere

Se c’è una cosa che Jacques Audiard sa fare meglio di altri registi è scovare la vitalità, la gioia di fare quello che si fa, nei contesti dell’illegalità. Quale genere migliore per lui, quindi, di quello che da sempre parla di “fuorilegge” che amano il pericolo, sfidano la paura della morte e si compiacciono del brivido che può dare l’idea di prevalere su qualcuno. The Sisters Brothers racconta la storia di due fratelli che sembrano trovare la giusta dimensione per il loro rapporto solo quando catapultati in contesti difficoltosi, nei quali sono costretti a tirare fuori il lato migliore di loro, quello che invece tengono nascosto per il resto del tempo, per cercare di sopravvivere.

I protagonisti di questo western dark tutto da ridere sono John C. Reilly e Joaquin Phoenix, nel ruolo di due fratelli agli antipodi che sono davvero completi solo quando affrontano le loro avventure insieme (come sempre avviene in questi film). La coppia di improbabili pistoleri dovrà mettersi sulle tracce di un investigatore di nome Morris (Jake Gyllenhaal) per acciuffare un chimico (Riz Ahmed) che millanta di aver scoperto un modo per trovare l’oro con la massima rapidità. 

The Sisters Brothers: un film alieno dal genere

Come il Dheepan del precedente film di Audiard, palma d’oro a Cannes, uno dei personaggi di The Sisters Brothers avrà la possibilità di abbandonare la propria vita di violenza per dedicarsi ad altro, ma per farlo dovrà necessariamente sottoporsi ad altra violenza. Quello di Audiard è un cinema interessato solo al presente, al momento in cui avviene quel “cambiamento” che i personaggi desiderano (uno dei due fratelli vuole avanzare di rango, l’altro ritirarsi ad una vita tranquilla). Non vuole raccontare il passato dei suoi protagonisti, che viene solo brevemente accennato, né ha la voglia di mostrare cosa può riservare il futuro alla coppia di pistoleri al centro del film. Pur trattandosi del suo primo film in lingua inglese, sviluppato a partire da un soggetto non suo, emergono con chiarezza gli elementi che hanno catturato l’attenzione del regista francese, che possiede una propria poetica ben definita ma declinabile in infinite possibilità. 

Pur ispirandosi ai western più classici, il risultato che il cineasta francese ottiene con il suo film è molto distante da quel tipo di narrazione, ma segue percorsi che nulla hanno che vedere con i meccanismi o con le convenzioni stilistiche del genere. Questa natura “aliena” del film è sottolineata in maniera brillante dalla colonna sonora di Desplat, anch’essa lontana dai modelli musicali che verrebbero subito in mente pensando alle colonne sonore più famose del western. 

The Sisters Brothers: prendersi gioco della virilità

I due fratelli di The Sisters Brothers riusciranno a trovare un equilibrio insperato proprio come i due protagonisti di Un sapore di ruggine e ossa (dal quale Audiard riprende anche il tema della mutilazione) e alla stessa maniera i due personaggi “secondari”, quelli di Morris e Warm, si uniranno per una strana comunanza di intenti attorno ad un loro ideale utopistico. Purtroppo però il nuovo film di Audiard è meno sofisticato di altre sue opere e non riesce a scavare in profondità come invece il regista francese è (quasi) sempre riuscito a fare con i suoi film, anche utilizzando i dettagli più piccoli per far capire molto su ciò che si stava vedendo. 

Per quasi tutta la sua durata The Sisters Brothers cerca di ribaltare la virilità tipica di questo tipo di storie rendendo sempre più marcata la “bromance” che coinvolge la seconda coppia di personaggi, quella formata da un chimico e da un investigatore che si piacciono reciprocamente. Nella estrema semplicità del film, però, il titolo non assume mai un vero significato nella storia e “Sister” fino alla fine indicherà solo il cognome dei due fratelli protagonisti.