Venezia 74: Human Flow, Ai Weiwei racconta un esodo forzato globale

Lo schermo si riempie di un blu intenso mentre l’inquadratura si allarga e cattura un barcone pieno di gente, uno di quelli che siamo tristemente abituati a vedere al telegiornale quasi ogni giorno negli ultimi anni. Questa immagine maestosa e straziante apre il documentario Human Flow dell’artista e attivista cinese Ai WeiWei, presentato alla 74° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia per analizzare il fenomeno della migrazione, dall’Iraq al Messico passando per Grecia, Italia e altri dei paesi europei più coinvolti.

Il racconto di un esodo forzato

Partendo dai campi di rifugiati in Iraq che accolgono coloro che scappano dalla Siria, Ai WeiWei organizza un racconto intimo e realistico di un problema che interessa ormai tutto il mondo, e sembra non trovare una soluzione, soprattutto a causa degli interessi economici e politici coinvolti. Armato di iPhone egli si aggira tra i villaggi ridotti in macerie, tendoni arrangiati dove la gente sopravvive in condizioni difficili sperando in un domani migliore, fino ad intervistare volti sofferenti e segnati da un destino comune che raccontano la loro esperienza e la loro idea. Grazie all’utilizzo dei droni Human Flow si arricchisce di immagini suggestive sulle quali il regista si sofferma qualche minuto, rendendo un’ottima estetica.

Human Flow

Viaggi infiniti verso la terra promessa

Tuttavia Ai WeiWei non si limita ad osservare dall’esterno, ma partecipa alle operazioni di salvataggio e vive a stretto contatto con i protagonisti del suo film, cercando di cogliere la realtà della loro situazione e i loro sentimenti. Spesso ci si sofferma sulla condizione di essere umano che, in alcuni posti della Terra, sembra essere dimenticata e bistrattata senza rimorsi. L’uomo tende a muoversi per trovare un posto diverso che gli permetta di vivere una vita dignitosa e civile. Basti pensare che sono oltre 65 milioni le persone che sono state costrette ad abbandonare la propria casa in questo periodo storico disordinato e tragico, che supera quasi i dati della Seconda Guerra Mondiale.

Ai WeiWei presenta queste figure in cerca di libertà e serenità mentre procedono complici verso un nuovo paese che possa accoglierli e offrigli una nuova possibilità. In Italia si riprende il salvataggio in mare di un barcone carico di anime perdute, che sviluppano malattie e provano a non arrendersi alla morte nei viaggi infiniti verso la terra promessa. Human Flow raccoglie una serie di racconti di vita reale, con il loro dolore, ferite aperte, l’esperienza della perdita, della solitudine e della mancanza di punti di riferimento.

Un problema di tutto il mondo

Nonostante la durata che supera le due ore, questo documentario si segue con attenzione e curiosità, ma anche con una soffocata commozione in alcuni momenti in cui i protagonisti condividono il loro passato con il cuore aperto e umile. “Le nuove generazioni stanno crescendo davanti ad un muro” spiega un rifugiato nei pressi di Gaza, definita da molti una grande prigione dalla quale nessuno può allontanarsi. Il tono di Human Flow è sicuramente drammatico, ma perora anche una causa importante che ha bisogno di essere compresa meglio dalla maggior parte della società.

“Con i cambiamenti climatici circa 250 milioni di africani moriranno in seguito a malattie, fame e siccità” spiega Ai WeiWei nella parte dedicata ai campi profughi in Africa, dove figure esili si distinguono nelle tempeste di sabbia regalando inquadrature uniche ed evocative. Human Flow si rivela la collaborazione del talento artistico e della sensibilità etica e politica di Ai WeiWei, per un documento da non perdere.