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Quest’anno gli appassionati di serie televisive non hanno avuto neanche un momento per respirare tra una maratona e la successiva. Tantissime le serie molto amate che nel corso del 2019 sono tornate con nuovi episodi per i loro fan in attesa, ma non sono mancate anche le serie inedite che hanno debuttato negli ultimi dodici mesi. Ecco quali sono secondo noi quelle che meritano di essere recuperate.

Servant – Apple TV+

Prodotta da M. Night Shyamalan (anche alla regia del primo episodio) e ideata da Tony Basgallop, Servant è una delle serie televisive più intriganti e affascinanti del 2019. Ricco di misteri e impossibile da comprendere adottando aprioristicamente il punto di vista di uno qualsiasi dei suoi protagonisti (anche quello apparentemente più lucido sembra nascondere qualcosa o comportarsi in maniera inusuale), il thriller prodotto da Apple è un gioiello di suspense che utilizza i propri spazi come strumento principale della narrazione (merito dei bravissimi registi che si susseguono, tra cui Nimród Antal). Servant è una di quelle serie (sempre più rare) che vengono aiutate dalla pubblicazione settimanale degli episodi. Già rinnovata per una seconda stagione, si concluderà nelle prime settimane del prossimo anno e con ogni probabilità lascerà ancora molte domande in sospeso. 

Chernobyl – Sky

Una delle grandi sorprese di questo 2019, Chernobyl ha convinto tutti grazie alla sua eccellente fattura e ad un approccio narrativo più votato al rigore che al melodramma. La serie Hbo (arrivata da noi grazie a Sky) tenta di replicare il vero, al punto tale da risultare immediatamente falsa nei (pochissimi) momenti in cui sbaglia il tono di una scena o il racconto di un determinato accadimento. La grande originalità della serie sta però nel modo in cui utilizza la storia del più clamoroso fallimento tecnico-scientifico di sempre proprio per affermare la forza della scienza sulla politica arrogante e interessata solo a se stessa. Mettendo in scena le conseguenze di un fatale sbaglio di programmazione e progettazione, Chernobyl non smette mai di chiedere agli spettatori di avere fiducia nella competenza, nella preparazione e nel metodo scientifico. Una scelta che può apparire controintuitiva e che invece si rivela fin da subito vincente. 

The Morning Show – Apple TV+

Considerando i temi particolarmente delicati che affronta, The Morning Show rischiava di commettere l’errore di dividere in maniera manichea i suoi protagonisti tra buoni e cattivi, imponendo allo spettatore un giudizio morale preventivo sugli eventi narrati. Invece attraverso la complessità e l’ambiguità, la serie Apple rende difficilissimo schierarsi e dimostra che per ogni situazione messa in scena esistono diverse angolazioni dalle quali osservare ciò che succede. The Morning Show si muove costantemente in una enorme zona grigia e non si limita a giudicare, puntando facilmente il dito. Dopo i primi episodi, diventa chiaro che non c’è una trama propriamente detta di cui seguire gli eventi, ma una lunga successione di conflitti (piccoli e grandi) che animano i personaggi. Comincia come The Newsroom ed evolve adottando un approccio diverso, quello di serie come Mad Men o The Wire.

What we do in the shadows – Fox

C’è davvero poco da dire sulla trasposizione televisiva del film cult di Taika Waititi e Jemaine Clement. La serie Fox riprende tutti i punti di forza di quel lungometraggio e li sviluppa sfruttando gli episodi a propria disposizione. La nuova famiglia di vampiri è persino più irresistibile di quella originale e le situazioni proposte sono sempre brillanti e mai derivative. Tra i tantissimi camei, vale la pena citare quelli di Evan Rachel Wood, Danny Trejo, Wesley Snipes, Tilda Swinton e Dave Bautista. La vampira Nadja, particolarmente disillusa sulla sua condizione di immortalità e annoiata dalla sua vera natura, è il personaggio televisivo femminile più riuscito del 2019.

Curiosità: Tutto su Baby Yoda

The Mandalorian – Disney + (da marzo in Italia)

Adottando un approccio procedurale (con una esile trama orizzontale da fare da raccordo), il prodotto di punta della piattaforma Disney+ (disponibile in Italia da fine marzo) torna alle origini di Guerre Stellari, andando direttamente alle radici western della saga. Poche cose sono riuscite nel corso degli anni a recuperare lo spirito della trilogia originale creata da George Lucas (anche la nuova trilogia ci è riuscita solo a tratti) come The Mandalorian. Creata da Jon Favreau e Dave Filoni (lo stesso della serie animata The Clone Wars, altro esperimento particolarmente meritevole), la serie che ormai tutti identificano con “baby Yoda” (il cui utilizzo è sempre intelligente, genuinamente tenero e mai stucchevole) può essere il punto di inizio ideale per una ennesima saga cinematografica.

Giornalista cinematografico. Fondatore del blog Stranger Than Cinema e conduttore di “HOBO - A wandering podcast about cinema”.

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The Last of Us: recensione no spoiler della prima stagione | Tiriamo le somme

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La recensione di The Last of Us – Newscinema.it

La prima stagione di The Last of Us è giunta al termine con il nono episodio in onda su NowTv e Sky. Dopo averla vista tutta, settimana dopo settimana, vi diciamo cosa ne pensiamo in una video recensione.

Si è conclusa da poco la prima stagione di The Last Of Us, la serie targata HBO ispirata all’omonimo videogioco che ha riscosso un enorme successo in tutto il mondo. Suddivisa in nove episodi di durata variabile e ambientata in un mondo post-apocalittico, The Last of Us continuerà con la seconda stagione già confermata.

Noi l’abbiamo vista tutta e nella video recensione qui sotto potete scoprire cosa ne pensiamo. Analizziamo pro e contro, condividiamo il nostro punto di vista su vari dettagli della serie e vi mostriamo anche un curioso video in cui è montato il videogioco con la serie in modo alternato per sottolineare la fedeltà di questa con il materiale originale.

La video recensione della prima stagione di The Last Of Us

The Last of Us: di cosa parla la serie

La serie HBO si svolge 20 anni dopo la distruzione della civiltà moderna. Joel, uno scaltro sopravvissuto, viene incaricato di far uscire di nascosto Ellie, una ragazzina di 14 anni, da una zona di quarantena sotto stretta sorveglianza. Un compito all’apparenza facile che si trasforma presto in un viaggio brutale e straziante attraverso gli Stati Uniti nel quale i due dovranno dipendere l’uno dall’altra per sopravvivere.

Tra le star della prima stagione troviamo Pedro Pascal e Bella Ramseynei panni dei due protagonisti principali insieme a  Gabriel Luna, nel ruolo di Tommy, Anna Torv che interpreta Tess, Nico Parker è Sarah, Murray Bartlett è Frank, Nick Offerman è Bill, Melanie Lynskey è Kathleen, Storm Reid è Riley, Merle Dandridge è Marlene, Jeffrey Pierce interpreta Perry, Lamar Johnson è Henry, Keivonn Woodard è Sam, Graham Greene è Marlon ed Elaine Miles riveste i panni di Florence. Fanno parte del cast anche Ashley Johnson e Troy Baker (qui trovate la guida ai personaggi della serie).

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YOU 4: un professore che vive a South Kensington? | Gli errori dell’ambientazione inglese

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La locandina di You – Newscinema.it

La seconda parte della quarta stagione di You comincerà il 10 Marzo su Netflix. In attesa dei nuovi episodi andiamo ad analizzare alcuni errori della sua ambientazione londinese. 

La quarta stagione di You è iniziata circa un mese fa e il 9 marzo riprenderà anche la seconda parte. Dopo aver lasciato gli Stati Uniti e la sua vecchia vita, Joe Goldberg (Pen Badgley) si è trasferito a Londra, dove ha rubato l’identità di un professore universitario. Tutta la nuova stagione si svolge, quindi, nella capitale inglese, ma i fan hanno notato diversi errori sull’ambientazione europea che non si vedevano dai tempi di Emily in Paris.

Joe “ama” camminare

Nella serie, Joe dichiara che non gli dispiace camminare un po’ per recarsi al lavoro. Tuttavia, la distanza tra l’università nell’East London e il suo appartamento nel South Kensington è semplicemente ridicola. Per arrivare da un punto all’altro camminando, infatti, occorrono due ore: quattro, se si considera andata e ritorno. Una persona che percorre quattro ore a piedi tutti i giorni per andare a lavorare non è molto realistico.

Un professore che vive nel South Kensington

Dopo essersi trasferito, Joe smette di essere un bibliotecario e si trasforma in un docente universitario molto stimato. Per quanto un professore universitario possa essere una professione redditizia, è altamente improbabile che uno stipendio del genere basti per permettersi un appartamento come quello di Joe.

Il South Kensington è uno dei quartieri più costosi di Londra, dove un trilocale costa in media tra i due e i tre milioni di sterline. In un’intervista a Wired, l’attore ha spiegato che Joe può pagare la casa grazie all’eredità di Love, ma appare comunque una cifra improbabile.

you newscinema

L’appartamento di Joe – Newscinema.it

Un camino in ogni angolo

Si può notare che praticamente ovunque vada, Joe si ritrovi in un luogo dove c’è un camino, quasi a volere restituire un’ambientazione londinese vittoriana. Tuttavia, oggi a Londra i camini nelle case non sono così tanti, quasi il contrario. A partire dal 1956, infatti, il governo ha iniziato una campagna per eliminarli, in modo da diminuire il tasso di inquinamento e fumo nelle zone pubbliche.

L’esagerazione dello slang

Senza dubbio, lo slang inglese è molto popolare ed esistono tantissimi meme e parodie sulle differenze tra l’inglese e l’americano. Tuttavia, gli scherzi e le incomprensioni nella serie su questo fatto sono semplicemente esagerate. Basti pensare alla scena in cui Joe si trova in aula e non capisce che cosa si intenda con la parola “pants“. Un’intuizione non così difficile da comprendere, considerato il contesto.

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Incastrati 2: la recensione della serie Netflix | Ficarra e Picone alzano l’asticella

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Ficarra e Picone nella serie Incastrati (fonte: Netflix)

Ficarra e Picone nella serie Incastrati (fonte: Netflix)

La seconda stagione di Incastrati, serie Netflix ideata da Ficarra e Picone, prosegue sulla strada tracciata dalla prima, ovvero quella di ironizzare sulla dipendenza fanatica da serie tv, ma stavolta affina i propri meccanismi narrativi e lascia più spazio ai comprimari per emergere.

Lo schema logico della seconda stagione di Incastrati è identico a quello della prima: partendo dall’irriverente premessa, comicamente insolente verso lo stesso formato (quello seriale) scelto per inscenare le solite vicende di paese e di criminalità più o meno organizzata, Ficarra e Picone innescano una lunga una catena di equivoci e disavventure che sono il pretesto per fare satira sulla ‘cupola’ mafiosa, sulle sue connivenze con la “società civile” e sui meccanismi grotteschi che regolano il mondo dell’informazione che deve raccontarla.

Una scena dalla seconda stagione di Incastrati (fonte: Netflix)

Una scena dalla seconda stagione di Incastrati (fonte: Netflix)

Salvo Ficarra, nonostante tutto quello che è successo nella prima stagione, è ancora “incastrato” da un prodotto televisivo di pura invenzione (estremamente semplicistico e dozzinale come la media dei prodotti su piattaforma). E anche in questa seconda stagione, la serie entra ed esce dalla fittizia centrale di polizia dell’ispettore Jackson, protagonista di The Touch of the Killer e poi del sequel The Look of the Killer, che sia Salvo che sua ex-moglie Ester (per sentirlo più vicino dopo la separazione) seguono assiduamente.

Stavolta questo sottotesto è ancora più esplicito, le due serie (quella finta e quella vera) dialogano in maniera molto più serrata e sono sempre più frequenti i momenti in cui Ficarra e Picone si fermano per riflettere sui tempi delle serie tv, per giocare sugli stereotipi di quel tipo di narrazione, sugli incroci spesso assolutamente inverosimili tra la trama poliziesca e le vicende sentimentali dei protagonisti.

E persino per scherzare sulle diverse tipologie di prodotto televisivo e i diversi target di pubblico a cui questi si rivolgono (Robertino, il figlio di Agata, è appassionato di The Body Language, un’altra serie tv, molto più moderna e sofisticata di quella di cui è appassionato Salvo).

Incastrati | il ritorno su Netflix di Ficarra e Picone

I due comici siciliani lasciano maggiore spazio agli attori secondari, facendo emergere pian piano, in poche ma fondamentali scene, i personaggi di Tony Sperandeo nei panni di Cosa Inutile, quello di Sergio Friscia nel ruolo del retorico giornalista locale Sergione e soprattutto quello del procuratore capo Leo Gullotta (la sua entrata in scena è il vero punto di svolta di tutta la stagione).

Approfondendo questi comprimari, la seconda stagione di Incastrati ne guadagna in complessità, spesso ribaltando il giudizio che su di loro gli spettatori avevano maturato nelle prime puntate (c’è sempre qualcosa di peggio in agguato) e liberando quelle che inizialmente erano solo maschere grottesche dalla loro bidimensionalità, lavorando invece di sfumature per renderle drammaturgicamente interessanti.

Una scena dalla seconda stagione di Incastrati (fonte: Netflix)

Una scena dalla seconda stagione di Incastrati (fonte: Netflix)

Come spesso è accaduto poi nella carriera di Ficarra e Picone, bravissimi nel mettere in scena senza sconti le piccolezze dei loro connazionali, anche in Incastrati ci sono scene che involontariamente dialogano direttamente con l’attualità e con la cronaca degli ultimi mesi (quasi profetica, ad esempio, tutta la sottotrama del medico che agevola la latitanza di Padre Santissimo), fino ad arrivare a un finale che sembra essere stato scritto appositamente dopo la cattura di Matteo Messina Denaro (e che, invece, è “solo” frutto della penna di due autori sempre più raffinati).

Ancora una volta, Incastrati trova il modo di collegarsi direttamente a quel cinema di Rosi, Damiani e Germi, che Ficarra e Picone consapevolmente citano e indicano come loro stella polare. Eppure, questa seconda stagione della serie Netflix, se pur non sempre eccellente nella fattura registica e nel ritmo della narrazione, fa emergere la maturazione autoriale di due comici che hanno ormai le idee chiarissime sul loro lavoro e sul tipo di racconto che vogliono fare.

Le nuove sei puntate di Incastrati dimostrano come l’incursione seriale di Ficarra e Picone non sia stata solo un “capriccio” per presentarsi come moderni e salire sul carro del vincitore (le serie sul cinema?), ma come sia in realtà un coerente nuovo tassello della loro poetica.

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