Everest, intervista a Baltasar Kormakur: “Chi decide di scalare l’Everest non lo fa per morire!”

Ha aperto la 72° Mostra del Cinema di Venezia Everest, il kolossal diretto da Baltasar Kormàkur ed interpretato da un cast stellare composto da Jake Gyllenhaal, Jason Clarke, Emily Watson, John Hawkes, Josh Brolin, Keira Knightley, Robin Wright e tanti altri. Tratto dal saggio Into Thin Air di Jon Krakauer, la stesso autore di Into the Wild, Everest porta sul grande schermo la spedizione che nel 1996 costò la vita a otto persone. Una tragedia che, grazie alla Universal Pictures, Kormakur rappresenta attraverso un’opera ricca di emozioni. Emozioni che il regista Baltasar Kormakur ha condiviso con noi, raccontandoci l’esperienza sul set, le difficoltà del progetto ed i legami instaurati durante le riprese del film.

Everest Venezia 72

Che sensazioni ha provato nel dirigere un film come Everest?

É stata un’esperienza incredibile, complicata e ricca di responsabilità ma sono soddisfatto del risultato finale perché ho girato il film con grande onestà. Non sono preoccupato se piacerà o meno. Esistono tante opinioni diverse e non credo sia importante se la gente lo ami o lo odi, il giudizio delle persone è una realtà che va al di là del mio controllo. Anche perché il mio obiettivo non era fare un classico film hollywoodiano sulle montagne. Sono molto orgoglioso di aprire questo Festival.

É stato difficile raccontare questa storia?

Molti libri hanno raccontato questa vicenda. Questa è una storia che negli anni ha dato vita a opinioni molto diverse. Ho cercato di prendere gli elementi fondamentali e di rappresentarli sul grande schermo con un certo realismo e senza seguire il classico stereotipo hollywoodiano.

Che cosa spinge i protagonisti della pellicola a rischiare la vita per scalare l’Everest?

Non mi piace giudicare le persone, non faccio documentari come Michael Moore e credo nel rispetto delle opinioni altrui. Ognuno deve inseguire i propri sogni, anche quelli più personali. Ovviamente i protagonisti di questa vicenda non volevano scalare una montagna per morire. É un discorso che vale per le corse con le macchine e per tutte le realtà pericolose, come anche attraversare l’Atlantico. Non fraintendetemi, non difendo la commercializzazione di questo tipo di realtà, ma neanche critico chi intraprende queste imprese. Chi decide di scalare l’Everest non lo fa per morire ma per mettersi alla prova.

Perché ha deciso di utilizzare la tecnologia 3D?

Ho usato il 3D per ricreare il volume della montagna. Lo spettatore infatti riesce così a percepire l’altezza, il senso di morte e l’imponenza dell’Everest. Non ho usato il 3D per spaventare il pubblico, ma per fargli percepire la grandezza del tutto.

Quali sono i suoi progetti futuri?

Ho iniziato come attore ma non ho avuto molto successo. Successivamente ho diretto degli spettacoli teatrali e sono passato al cinema. Mi sento molto fortunato. Ora sto lavorando ad un progetto sui Vichinghi. Mi piacerebbe creare una saga.