Interviste
Guillermo Del Toro parla di Pacific Rim
Le profondità del mare hanno sempre incuriosito il regista Guillermo del Toro e questo fine settimana debutta il suo grande progetto Pacific Rim, che dispone di robot alti 25 piani che combattono mostri alieni minacciosi che sorgono dal mare. Del Toro ha parlato di questo progetto con Movies.com e vi riproponiamo l’interessante intervista di seguito.
Lo scorso anno si era detto che il film sarebbe stato “un poema molto, molto bello di mostri giganti”. Sei soddisfatto del tuo poema finito?
Guillermo del Toro: Sì, moltissimo. Penso che l’intero film sia venuto fuori nel modo che volevo. E’ la migliore esperienza che abbia mai avuto come realizzazione di un film, perché è la prima volta che sento di aver avuto il controllo creativo e un pieno sostegno. E’ stato un grande viaggio. Ci ho lavorato per circa 20 anni e la preparazione e l’esecuzione è stata molto, molto, molto intensa. E’ la prima volta che ho finito un film completamente euforico e completamente esausto.
Il Drift è affascinante perché i piloti possono vedere uno nella mente dell’altro. Che tipo di segreti avresti rivelato su di te se fossimo andati in Drift insieme?
Del Toro: Avremmo potuto fare un intero film sul Drift. Io in realtà penso che in un mondo in cui una deriva è possibile, le grandi cose sarebbero che i segreti non importerebbero più di tanto. Penso che sia buono. I miei film celebrano una cosa sopra ogni altra cosa, ovvero l’ imperfezione.
Come essere un regista Latino ispira il suo lavoro?
Del Toro: Quando vedete Pacific Rim vedete la sensibilità al melodramma. E’ un film che sembra diverso da qualsiasi altro film di mostri che hai visto in America. Ha un look molto particolare: i colori saturi, le tempeste di pioggia, il melodramma tra i personaggi. Penso che sia molto importante per i giovani registi sentire che ora possono andare da qualche altra parte. Possono fare melodrammi nel proprio paese, possono andare in America ed esplorare qualsiasi genere sentono di voler fare. Quando ero piccolo non c’erano molti modelli di ciò che si potrebbe fare come cineasta latino. Ora, lo stampo è stato rotto e si può essere ovunque si vuole essere e fare film.
Parlando di melodramma, ci sono alcuni momenti toccanti in questo film. Qualcuno di loro ti ha colpito in particolare?
Del Toro: Ci sono un paio di momenti nella storia che mi hanno commosso. Principalmente, il ricordo di Mako (Rinko Kikuchi) quando da bambino è stato salvato da un Kaiju [mostro], è stato incredibilmente commovente per me. Ci sono un paio di righe verso la fine del film che ancora mi colpiscono anche se ho visto il film circa 25 volte. L’obiettivo era quello di mantenere questo film divertente e umano. Tanti i film estivi degli ultimi due anni tendono ad essere così distopici e bui e, in definitiva condanne dell’ umanità, invece io ho voluto fare un film che fosse culturalmente diverso, che potesse far uscire dal cinema con un sorriso e una sensazione di aver visto qualcosa che non si è mai visto prima. Volevo farne un film d’avventura che è una sorta di retrò. E’ del tutto sincero. Io alla fine penso che l’umanità sia la migliore e la peggiore cosa che abbiamo. Io gioco con le mie più grandi paure e le mie più grandi speranze sullo schermo. Un film d’avventura ha sempre quei momenti toccanti. Non volevo fare un film di guerra con carri armati e poteri del fuoco e che sh * t. Ho voluto rievocare il vecchio West con Marshall e ranger, in sella alla Jaeger. Se si guarda il film ci sono un sacco di momenti occidentali.
Ci sarà un sequel di Pacific Rim?
Del Toro: Mi piacerebbe perché ci sono così tante idee che abbiamo lasciato da parte. Siamo stati in grado di mettere un po’ di quelle idee in un fumetto, ma abbiamo ancora tanto da raccontare. Questo è un primo film molto complicato. Abbiamo avuto così tanta trama e tante regole e abbiamo cercato di fare un film in cui tutti i personaggi avessero lo stesso peso sullo schermo. Ma un secondo film sarebbe grande.
Non ti senti di aver finito?
Del Toro: mi sento l’opposto. Mi sento sempre come se fossi in procinto di iniziare. Io ho 48 anni e ho scritto circa 20 script, ma ho solo otto film al mio attivo, e questo significa che ci sono 13-14 film che ho scritto e che ancora non sono stati fatti. Soprattutto perché non ho potuto finanziarli. Se avessi i soldi finanzierei ogni film da solo. Non dovrei mai sentirmi obbligato a seguire qualsiasi altro consiglio. Ho sempre lavorato duramente per guadagnare i soldi da spendere per fare un film.
Poche cose sono state dette sul tuo prossimo progetto come regista, Crimson Peak. Il casting è ben avviato, quindi hai qualche anticipazione succosa da condividere?
Del Toro: Ogni film che faccio introduce un lato di me che il pubblico che non conosceva prima. Le persone sono rimaste sorprese quando ho fatto The Devil’s Backbone, Hellboy e Il labirinto del fauno. Crimson Peak mostra un lato di me che è molto vicino al mio cuore; io sono un fan incredibile del romanticismo gotico. Il film è una storia d’amore di romanticismo gotico classico, che si svolge nel nord dell’Inghilterra in una città chiamata Crimson Peak. Ha alcune scene stravaganti e sono abbastanza orgoglioso di dire che si tratta di un film R-rated. Esso ha ancora alcune cose piuttosto violente. Iniziamo le riprese a gennaio.
Eri alla premiere di Los Angeles del film Sono così eccitata di Pedro Almodovar. Cosa ne pensi di quel film?
Del Toro: Oh, mi è piaciuto. Mi ricordava la Spagna quando ci sono andato con mia moglie nel 1980. Era un paese estremamente libero e molto selvaggio. E’ stato un grande paese, nessuno era giudicante, tutti potevano essere quello che volevano essere, la gente era emotiva, sovralimentata, e il film ha rappresentato tutto questo. Mi sono divertito un sacco, l’energia, la purezza, gli elementi di ritorno al passato.
Fonte: MOVIES.com
Festival
Venezia 81: Queer, conferenza stampa | Guadagnino: “Chi siamo quando siamo da soli”
Tutti i dettagli più importanti emersi durante la conferenza stampa con Luca Guadagnino, Daniel Craig e Drew Starkey, presenti alla 81ª edizione della Mostra del Cinema con il film Queer, in concorso per il Leone d’oro
Al 3 settembre, arriva finalmente al Lido di Venezia il debutto del terzo dei cinque film italiani in concorso alla prestigiosa manifestazione cinematografica. Stiamo ovviamente parlando di Queer, che vede la firma del regista italiano più internazionale del momento nonché Luca Guadagnino, con Daniel Craig, Drew Starkey, Lesley Manville e Jason Schwartzman.
La storia del film, che si ispira all’omonimo romanzo di William S. Burroughs ed è ambientata nel 1950, vede l’ex Agente 007 interpretare William Lee, un americano espatriato a Citta del Messico, luogo dove perde la testa per un giovane ed enigmatico studente, Eugene Allerton. Vediamo tutti i dettagli emersi in conferenza stampa.
Perché proprio il romanzo di William S. Burroughs? Risponde, ovviamente, Luca Guadagnino
Come si passa da un romanzo del genere – che narra di un’improbabile storia d’amore, che raggiunge tratti volutamente grotteschi – al grande schermo? Ovviamente, risponde il regista Luca Guadagnino: “Io credo che la gioia sia stata il punto di partenza. Ho letto il libro a 17 anni e da ragazzo volevo cambiare il mondo attraverso il cinema. Questo romanzo mi ha dato la descrizione su pagina di un assenza di giudizio tra due personaggi. Tutto questo mi ha trasformato per sempre. E dato che voglio essere fedele al giovane che ero, ho voluto portare il romanzo sul grande schermo. A prescindere da chi si ama, l’importante è chi si è“.
Anche lo sceneggiatore Justin Kuritzkes commenta il romanzo, scritto tra il 1951 e il 1953 e pubblicato nel 1985: “Si tratta di un libro che rappresenta moltissimo lo scrittore. Un romanzo il medesimo William S. Burroughs aveva messo da parte per diversi anni. Durante la sceneggiatura, avevamo bene in mente quando avvicinarci al libro e quando allontanarci“.
Ma non finisce qui, perché la scrittura del romanziere statunitense torna anche sottoforma di musica: “Alla fine del film sentiamo una canzone. Le parole vengono dal diario di William S. Burroughs, scritte tre giorni prima di morire. La canzone è cantata da Gaetano Veloso. La frase è questa: ‘Il nostro amore crescerà ancora più vasto degli imperi’“.
Daniel Craig sulle scene erotiche: “Volevamo che fossero commoventi e naturali”
Come accennato poco sopra, siamo nel 1950: William Lee è un americano espatriato a Città del Messico, dove passa le sue giornate quasi del tutto da solo. Un giorno, avviene l’incontro con Eugene Allerton, un giovane studente appena arrivato in città, che lo porta a voler stabilire finalmente una connessione intima con qualcuno. A proposito dell’intimità, Daniel Craig rivela: “C’è una certa coreografia, che è una parte importante del film. Abbiamo fatto prove per mesi: ballare una persona davvero rompe il ghiaccio. Ci siamo avvicinati alle scene di sesso in maniera toccante, commovente e naturale“.
Il senso era ritrovare quella libertà e liberare i nostri corpi
Gli fa eco il giovane Drew Starkey: “Abbiamo cominciato presto a fare le prove. E non solo per le scene più intime. Il senso era trovare quella libertà e liberare i nostri corpi. È importante conoscersi bene quando si tratta di certi movimenti“.
La domanda più ovvia: perché scegliere Daniel Craig? Ma sopratutto, potrebbe mai esistere un agente 007 omosessuale?
Luca Guadagnino prende immediatamente la parola, parlando di un fatto conclamato: “Nessuno potrà sapere davvero quali sono i veri desideri di James Bond“. In sala parte un applauso scrosciante.
“Detto questo, è bene che tutti portino a termine le proprie missioni“, aggiunge il regista guardando il collega Daniel Craig. “Lo ammiro da tantissimo tempo. Gliel’ho proposto e lui ha accettato. È stato un privilegio lavorare con lui“.
Daniel Craig, definito dal regista “un attore leggendario”, risponde così: “Se non fossi stato in questo film e l’avessi guardato, sarei voluto essere il protagonista. Uno dei talenti di Luca Guadagnino è che vuole sentire la voce di tutti, ed è un processo liberatorio, perché sappiamo dove stiamo andando. Lavorare con lui è stato fantastico“.
In Evidenza
Alda Merini: Folle d’Amore | Intervista all’attrice Sofia D’Elia: “Una donna libera e diversa”
La nostra intervista a Sofia D’Elia, giovane attrice pugliese che interpreta Alda Merini durante i delicati anni dell’adolescenza. Il biopic diretto da Roberto Faenza andrà in onda il 14 marzo in prima serata su Rai Uno
Alla giovane attrice pugliese Sofia D’Elia, classe 2006, spetta il compito e l’onore di portare sul piccolo schermo la versione adolescenziale di Alda Merini, scomparsa nel 2009. Ad assumere le parti della grande poetessa, in altre fasi della vita, troviamo anche la vincitrice di un David di Donatello Laura Morante e Rosa Diletta Rossi.
Alda Merini: Folle D’amore, una coproduzione Rai Fiction – Jean Vigo Italia con anche Federico Cesari, Giorgio Marchesi e Mariano Rigillo, andrà in onda il 14 marzo in prima serata su Rai Uno.
Sofia D’Elia, 17 anni, divisa tra la Puglia e Roma, ci ha raccontato qualcosa sul senso di responsabilità intrinsecamente legato al ruolo da lei interpretato. Le sue parole sono caratterizzate da una consapevolezza sensibile ed una maturità attenta: “Chi pensa che avere un disagio possa significare solo buio sbaglia“, ci dice ad esempio dell’immagine inedita che il biopic promette di restituire sulla poetessa dei Navigli.
D’altro canto, il regista Roberto Faenza, con cui è tornata a collaborare dopo Hill of Vision (2022), dice di lei: “A mio avviso è straordinaria, per la sua sensibilità e l’attenzione che ha quando entra in scena. È un volto interessante, fragile e sapiente. Ideale per il cinema”.
Com’è stato dare vita alla fase adolescenziale della grande Alda Merini?
Interpretare il ruolo di Alda Merini è stato immenso, per me. La sua voglia di essere una donna libera e diversa ne ha fatto un emblema della figura femminile. Tutto questo mi ha sempre affascinato e incuriosito. Essere donna oggi, purtroppo, non è sempre così facile. Spesso si è attaccate in diversi ambienti e non si è sempre tutelate.
È stato affascinante rileggere le poesie dopo aver interpretato un personaggio così importante e averne scoperto la vita da ogni angolatura. Per me, in particolar modo, è stato meraviglioso studiare l’adolescenza di Alda Merini, per capire come darle vita.
Com’è stato collaborare con gli altri “volti” di Alda Merini, nonché Rosa Diletta Rossi e Laura Morante?
Per me è stato un onore condividere il set con attrici come loro. E dato che interpretavamo lo stesso personaggio, abbiamo dovuto trovare un punto di accordo nell’interpretazione. Sin dalla prima lettura del copione, ho ammirato il modo in cui tecnicamente sapevano già dare voce a una figura di fronte a cui ogni attore avvertirebbe un senso di responsabilità.
Si parla di una donna che tutti conoscono e c’era molta paura e timore, almeno da parte mia. Di loro ho ammirato la scioltezza e la liberà con cui hanno affrontato il ruolo. Ho da imparare molto da attrici così. Ma anche dagli altri attori come Alessandro Fella che interpreta Giorgio Manganelli, con cui ho avuto un bel confronto sul set.
Alcune nozioni biografiche tradizionali dipingono Alda Merini come una persona non pienamente consapevole di sé. Questo film ne restituirà un’immagine inedita?
Certo. Per quanto riguarda la mia parte, Alda è una ragazzina malinconica e sensibile, è vero, ma è piena di vita. È una sognatrice in un contesto storico difficile.
Era controcorrente, fin da ragazzina. Era affascinata dalla poesia e dalla musica. Sapeva trasformare ogni emozione in un’armonia con il pianoforte. Al posto di raccontare agli altri una cosa che le era successa, si affidava alla carta o alla musica. E questa è una cosa bellissima.
Alda Merini soffriva di bipolarismo, considerato erroneamente come uno stigma sociale. È stato anche questo, invece, a definire la grandezza delle sue opere. Cosa ne pensi?
È vero. Ed è proprio durante l’età adolescenziale che Alda Merini ha incontrato le prime ombre della sua mente. E fin dall’adolescenza si è nutrita di poesia per evadere dal disagio, che in realtà è diventata la sua fonte di ispirazione. Questa è una cosa magnifica. La luce nasce dall’ombra, come diceva Caravaggio. Chi pensa che avere un disagio possa significare solo buio sbaglia.
Cos’è che ti porti nel cuore da questa esperienza?
Interpretare il ruolo di Alda Merini mi ha fatto riflettere. Mi ha fatto anche apprezzare la maggiore libertà che abbiamo oggi, grazie proprio a figure come lei. Aver interpretato questo personaggio mi ha fatto pensare a quante volte l’arte abbia fatto da cura.
Vedi anche Van Gogh o Beethoven. L’arte è un rifugio. È una casa. Mi porterò nel cuore che, per l’arte, qualsiasi cosa tu faccia è sempre giusta. E Alda voleva questo.
C’è un’altra donna a cui ti piacerebbe dare vita sul grande o piccolo schermo?
Ce ne sono tantissime. Mi piacerebbe interpretare la figura di Giovanna d’Arco. Mi piace pensare che la donna, anche in contesti difficili, si è sempre battuta. O Marie Curie, insomma, tutti ruoli femminili abbastanza potenti.
Alda Merini ci ha insegnato che anche il dolore può fare grandi cose. Sei d’accordo?
Noi al dolore diamo sempre un’accezione negativa. Però a volte è proprio il dolore il nostro punto di partenza. È quella condizione che ci consente di tirare fuori tutto quello che abbiamo nella mente.
Il dolore ci consente di esternalizzare: c’è chi l’ha fatto con la poesia, chi con i quadri. Quante Alda Merini esistono oggi e noi non lo sappiamo? La debolezza diventa forza. Per me sarà sempre così.
Per conoscerti meglio: quali sono i tuoi film e serie TV preferiti?
Devo fare il nome di Tim Burton, sono la sua fan numero uno. Mi piace come parta dalla diversità per renderci tutti uguali. I suoi film, come ‘La sposa cadavere‘, sono ricchi di messaggi morali, che ci fanno riflettere.
Poi amo sicuramente i film drammatici, come ‘Shutter Island’ di Martin Scorsese. Come attrici, mi rifaccio tantissimo a Natalie Portman e Keira Knightley. Per le serie TV, invece, mi piace come ‘Peaky Blinders’ descrive la situazione sociale. Ma adoro anche com’è stata costruita la storia di ‘Downtown Abbey’.
Che cosa puoi anticiparmi sui tuoi progetti futuri?
Ci sono diversi progetti molto belli, ma non posso dire troppo. Prenderò parte a un film fantasy, un genere che mi sta molto a cuore, perché è capace di trasportare il pubblico in un iperuranio tutto suo. Anche se non posso rivelare molto, posso dire che mi piace sempre mettermi alla prova. La recitazione, per me, è proprio tirare fuori dei lati che non pensavo di conoscere.
Interviste
Lolita Lobosco 3, Luisa Ranieri rivela: “una donna disfunzionale” | Esclusivo
Oggi, venerdì 1˚marzo, si è tenuta la conferenza stampa di Le indagini di Lolita Lobosco 3, con la protagonista Luisa Ranieri, il regista Renato De Maria e il resto del cast
Il mese di marzo comincia con la conferenza stampa di Le indagini di Lolita Lobosco – Terza stagione, presso la Sala Sergio Zavoli della sede Rai in Viale Mazzini, a Roma. Il cast, capitanato da Luisa Ranieri, il regista Renato De Maria e il resto degli attori hanno risposto a domande e hanno raccontato qualche anticipazione.
Ispirata alla serie di romanzi scritti da Gabriella Genisi e ambientata nella città di Bari, il terzo capitolo della serie di successo debutta con il primo episodio il 4 marzo, in prima serata. Nel frattempo, clicca qui per la nostra recensione in anteprima.
Le nuove indagini impegnano la vicequestore Lolita attorno ad un incidente che nasconde molto più di quel che sembra. Inoltre, un incontro inaspettato proverà a farle cambiare idea sull’amore, dopo i fallimenti sentimentali delle sue ultime relazioni.
Maria Pia Ammirati, direttrice di Rai Fiction, la definisce “Una stagione molto più matura“. E, commentando gli ascolti così alti, aggiunge: “Noi facciamo solo l’ascolto lineare, che ci contraddistingue. Noi accumuliamo, con RaiPlay, milioni di visualizzazioni. Per cui, Lolita Lobosco è anche ai primi posti di fruizione digitale”.
E conclude: “Quando creiamo una serie, non ci poniamo limiti”.
Lolita Lobosco 3: l’alchimia tra gli attori
Dopo aver mostrato, in conferenza stampa, una clip tratta dal primo episodio della terza stagione con Luisa Ranieri, Jacopo Cullin (che interpreta lo storico Lello) e Giovanni Ludeno (che torna nei panni di Antonio Forte), si è parlato a lungo dell’alchimia tra gli attori.
Nella scena mostrata, in particolare, i tre interpreti si trovano a cena e ridono come dei vecchi amici: “Si vede che c’è un’intimità consolidata“, concordano Luisa Ranieri e Jacopo Culllin.
A proposito dell’alchimia tra gli attori, interviene Maurizio Donadoni, che interpreta il ruolo di Trifone: “Recitare è quello che uno vuol far vedere. In realtà, in questo lavoro – grazie a chi lo illumina, veste e trucca – ha un valore aggiunto. Ogni tanto, come in questo caso, non riesci a capire se stanno recitando o no. È una cosa che non trovi facilmente“.
E conclude: “Li guardo ridere e mi chiedo: ‘Stanno recitando veramente?‘”. “Noi abbiamo trovato un modo di stare insieme e fondere le recitazioni”, ci tiene ad aggiungere Luisa Ranieri. “Improvvisiamo tantissimo, l’altro è sempre pronto senza andare nel panico”.
Il commento del regista Renato De Maria
“Com’è stato per il regista inserirsi per un progetto che già andava avanti con successo da due stagioni?“. La domanda per il regista Renato De Maria sorge spontanea.
Lui risponde: “Non è stato facile, prendevo in mano una serie che già aveva funzionato bene. Tutti avevano il terrore che la rovinassi (ride, ndr). Però devo dire che la cosa più interessante, è stato proprio lavorare con gli attori“. “Luisa, già di per sé, è una protagonista forte. Quando hai un’attrice così importante, tutto viene più facile. Anche il cast è fantastico. Sono tutti protagonisti di una storia personale che ha un tono e un colore, dati proprio dal loro stile di recitazione”.
E conclude: “Li ringrazio tutti, è stato un lavoro eccezionale”. Parlando della Puglia, ci tiene ad aggiungere: “È la nostra Los Angeles: c’è sempre una luce e temperature meravigliose. Hai sempre a disposizione scenari marittimi e interni cittadini o di campagna ad alto impatto visivo. Registicamente, è una terra fantastica“.
Jacopo Cullin: “Il mio è un personaggio storico, ma ho scoperto nuovi lati”
Jacopo Cullin è un personaggio storico, che partiva – nella prima stagione – non convinto della presenza di un vicequestore donna. L’attore conferma questo presentimento: “Sì, all’inizio al mio personaggio non convinceva avere un capo donna, Poi si è ricreduto. Jacopo in questa stagione diventa papà. È stato molto bello, perché ho avuto modo di scoprire dei lati che non conoscevo”.
Anche Bianca Nappi, in merito alla sua Marietta, ci tiene a dire: “Il mio personaggio sdrammatizza sempre. È l’amica che tutti vorrebbero”. E infatti Luisa Ranieri interviene, aggiungendo: “Per Lolita Lobosco le donne sono ‘quelle che la capiscono’. Per lei Marietta è proprio l’amica, il suo punto di riferimento”.
Daniele Pecci: parla la new entry del cast
Daniele Pecci, new entry della terza stagione della serie Rai, parla del suo personaggio Leon. Quest’ultimo, proverà a far cambiare l’idea che Lolita ha sull’amore, dopo i fallimenti sentimentali delle sue ultime relazioni.
“Non si può dire molto…è un vedovo. Un uomo che a seguito del lutto si è trasferito con le figlie adolescenti a Bari. Ha aperto una galleria, e viene a incontrarsi-scontrarsi con Lolita in una situazione rocambolesca”.
E com’è stato entrare in una famiglia già consolidata? La domanda – la stessa rivolta anche al regista – sorge anche qui spontanea: “È stata una bellissima esperienza”, risponde Daniele. “Interpreto un ruolo importante, perché potrebbe sostituire un amore che c’è stato“.
“Non avevo mai girato a Bari. È una città meravigliosa, un posto bellissimo dove vivere”, aggiunge anche lui. Ma Angelo, il personaggio che ha fatto battere in passato il cuore di Lolita Lobosco, è davvero uscito dalla vita della protagonista? A rispondere ci pensa Mario Sgueglia, il suo interprete: “Non posso dire molto. Penso che uscire dalla vita della protagonista sia impossibile. Si conoscono da quando sono bambini. Angelo è entrato in un programma di protezione testimoni, ma ci saranno degli eventi che lo porteranno a stare insieme a Lolita…“.
Luisa Ranieri: “Lolita è distante con gli uomini, solidale con le donne”
Finalmente, in conferenza stampa, si giunge poi alle tante domande e curiosità attorno al personaggio di Luisa Ranieri. L’attrice protagonista ha così definito Lolita Lobosco: “È una donna ruvida, ma allo stesso tempo accogliente. È molto radicata nelle sue radici e proiettata al futuro. Lei con gli uomini ha un rapporto di distanza, mentre col femminile ha un rapporto di solidarietà“.
Quando le chiedono se si sente allineata con la frase di Lolita, che dice che vivere il momento è tutto ciò che conta, lei risponde: “Non mi posso lamentare. Penso che sia la ricetta in generale della vita. È inutile proiettarsi in avanti, perché aspetti una cosa che non arriva. Anche vivere nel passato non ha senso. Stare nel presente è la ricetta della felicità”.
Inevitabile menzionare nuovamente il rapporto con la città di Bari. “Sono entrata in punta di piedi – dice Luisa Ranieri – e abbiamo creato un rapporto di stima reciproco. Ne sono felicissima, mi hanno dato la cittadinanza onoraria”.
E sul ruolo della donna? “Lolita è una disfunzionale. Io, da attrice, la vedo come una donna sempre alla ricerca di emozioni. Una donna che ha messo il lavoro davanti a sé, e gli uomini accanto. Avere un padre bugiardo non l’ha aiutata ad avere un rapporto con uomini sinceri”.
Alla domanda: “Cosa c’è di te in Lolita?”, Luisa Ranieri risponde senza esitazione: “Sicuramente la passione per le scarpe, poi anche il fatto di essere un po’ malinconica”. E conclude: “Scelgo i copioni in base alle farfalle nello stomaco. La prima sensazione è sempre quella giusta. Lolita Lobosco risponde decisamente al mio istinto primordiale“.
“Grazie, Lolita”
Sulle fragilità di Lolita, Luisa Ranieri dice: “Provo tenerezza. È una donna normale, dove rivedo tante donne che ho conosciuto”. In merito al rapporto con la lunga serialità, aggiunge: “Io mi annoio facilmente ed ero titubante. In realtà, ho scoperto che è una grande fabbrica. Anche come attrice non è noioso ma al contrario con la lunga serialità hai la possibilità di conoscere meglio il tuo personaggio”.
Alla domanda finale, “Il successo cosa porta nella già ricca cinematografia di Luisa Ranieri?”, l’attrice risponde: “È un personaggio che ho amato molto. Dico sempre che è stato un regalo di mio marito, che mi ha fatto leggere i libri”.
“È un personaggio che capita in un momento di maturità attoriale. Devo tanto ai produttori Angelo Barbagallo e Luca Zingaretti (marito della medesima, ndr) per aver creduto nel progetto“.
E conclude: “Volevo ringraziare tutti gli attori che hanno partecipato. Anche quelli che hanno fatto solo una posa. Ringrazio tutti gli attori che mi sono accanto, a partire da Giovanni Ludeno che oggi non è qui, perché è sul set di un alto progetto. Siamo davvero gruppo consolidato. Loro sono stati dei compagni generosi e io li ringrazio moltissimo.
“Non posso che dire ‘grazie, Lolita‘” La serie TV, distribuita in prima visione su Rai 1 in quattro serate, debutterà con il primo episodio lunedì 4 marzo 2024.
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