Imaginaria 2018, intervista a Špela Čadež: dagli inizi in Slovenia al corto in stop-motion per Netflix

Nel corso della sedicesima edizione di Imaginaria – Festival internazionale del Cinema d’animazione d’autore, abbiamo avuto modo di intervistare la giovane regista slovena Špela Čadež, che con il suo cortometraggio Nighthawk ha vinto la scorsa edizione del festival pugliese nella categoria Best Animated Short Film. Nighthawk può contare oggi su ben 23 premi all’attivo in tutto il mondo e Špela è considerata una fra le più interessanti animatrici internazionali grazie all’utilizzo della sua particolare tecnica a passo uno “Puppet Animation”. Il suo ultimo lavoro è stato commissionato da Netflix per promuovere la nuova stagione della serie Orange Is The New Black. Ecco cosa ci ha raccontato.

Torniamo per un attimo indietro a Boles, che è stato il tuo primo corto dopo gli studi. Puoi raccontarci come sono stati fabbricati i pupazzi che hai usato nel film?

In quel film in particolare penso che la cosa più importante sia stata trovare un collaboratore esperto che già lavorasse nel teatro per pupazzi, quindi abituato ad utilizzare tutti i tipi di materiale. In Boles abbiamo usato il silicone ed è stata la prima volta per entrambi, ma fortunatamente lui è un vero perfezionista e ha curato ogni dettaglio in maniera brillante. Il silicone è un materiale particolare: noi diciamo che è un materiale che non ha amici perché non puoi praticamente incollarlo a nulla. Ma è anche molto resistente e difficile da lavorare. 

Nell’animazione in stop-motion puoi muovere i pupazzi in modi che sarebbero impossibili da replicare per attori reali. Scegliere di muovere (o non muovere) un personaggio su schermo assume un significato nella narrazione. Quanto tempo spendi per studiare i movimenti dei tuoi modelli?

Studiamo molto. Adesso lavoro regolarmente a contatto con animatori, quindi per quanto mi è possibile cerco di non occuparmi anche del lato animazione perché so che c’è gente molto più brava e competente di me. Anche se molto spesso quando il budget scarseggia sono costretta ad animare i miei modelli da sola. Parlare con gli animatori é come parlare con degli attori. Devi cercare di trovare i movimenti giusti da replicare su schermo, che non devono essere mai esagerati, come invece avviene spesso nel cinema con i pupazzi. Ma è importante sapere come muovere i pupazzi tanto quanto lo è capire qual è invece il momento giusto per tenerli fermi: devono muoversi solo quando strettamente necessario. 

Per il tuo Nighthawk hai utilizzato per la prima volta una Multiplane Camera. Puoi dirci qualcosa su questa tecnica?

Avevo già sperimentato questa tecnica per un film sloveno per il quale mi sono occupata di alcuni intermezzi animati. È stato come entrare in un mondo magico. Si tratta di creare un effetto tridimensionale che in realtà non esiste, perché ogni cosa è dipinta. Spesso questa illusione funziona benissimo, in altri casi questo non avviene e si perde tantissimo tempo per calibrare perfettamente ogni cosa. 

In quel caso non avevi nessuna struttura fisica come set all’interno del quale muovere i tuoi personaggi. È stato difficile comunicare agli animatori le immagini che avevi in mente?

È stato molto difficile, perché in realtà non avviene granché nel film a livello di narrativa. Ci sono immagini del protagonista che guida e immagini della strada. Il mio compagno è un attore e quindi ha recitato per noi la parte del guidatore ubriaco, che è una cosa molto delicata perché si rischia sempre di essere sempre poco realistici e molto esagerati. 

Gli animatori più giovani generalmente provengono da un background digitale, per cui sono abituati a programmi come After Effects e non a questo tipo di tecniche analogiche. Pensi che avresti potuto raggiungere lo stesso risultato con il digitale?

Non penso. Ma effettivamente hai ragione, tutti gli animatori che erano con me sapevano usare After Effects ma non avevano mai sperimentato questo tipo di tecnica analogica. All’inizio erano loro che cercavano di convincermi ad utilizzare programmi digitali. Io, dopo le prime settimane di lavorazione, che sono state molto stressanti, stavo quasi per cedere e alla fine sono stati loro a dirmi: “Non possiamo tornare indietro, ci siamo resi conto che ciò che stiamo facendo non può essere replicato in After Effects”. Gli effetti digitali sono molto diversi da quelli che si riescono ad ottenere dal vivo. Cambia radicalmente anche il modo di pensare questi effetti prima di realizzarli.

Il tuo prossimo film sarà multiplane ?

Sì  Sono già al lavoro su questo nuovo progetto e abbiamo già realizzato i primi dieci secondi.

È diventato più facile per te, dopo il successo dei tuoi primi lavori, trovare i fondi necessari per nuovi progetti?

Questa è la parte davvero triste del mio lavoro. I fondi per il cinema in Slovenia sono stati tagliati del 50% per far fronte alla crisi. O almeno questo è quello che dicono i nostri politici. Quindi paradossalmente adesso mi trovo a dover lavorare i miei progetti con molti meno soldi rispetto a quelli che avevo a disposizione per i miei primi lavori. L’apprezzamento che si riceve per i propri film è purtroppo irrilevante in questo caso.

Il tuo ultimo lavoro è stato il corto Orange is the new black: Unraveled. Come è stato lavorare per la prima volta con personaggi ben noti e con una storyline già esistente da dover rispettare?

È stato molto difficile, perché siamo stati costretti a dover fare tantissime cose in pochissimo tempo. Naturalmente la storia doveva essere quella della serie tv, che noi dovevamo rielaborare per il corto. La serie Orange is the new black si basa molto sui dialoghi e ciò che dovevamo realizzare doveva essere invece muto. Quindi ci siamo concentrati sulle azioni dei personaggi e non tanto su quello che avevano da dire. Essendo un recap delle passate stagioni, non so quanto si possa apprezzare il corto senza conoscere la serie. Però devo dire che a mio figlio è piaciuto tantissimo lo stesso.