James Cameron | La “formula magica” per fare sequel di successo

Uno dei maggiori punti di forza di James Cameron è senza dubbio la sua abilità nel realizzare sequel cinematografici di successo. La scalata al box-office di Avatar: La via dell’acqua non fa che confermare questa sua straordinaria capacità.

Sono tanti i registi e le star che preferiscono evitare la sfida di dare un seguito a film di grande successo, un po’ per mancanza di buone idee, un po’ per la paura di non essere all’altezza delle aspettative e perdere il loro pubblico. James Cameron, tuttavia, si è dovuto confrontare con i sequel sin dall’inizio della sua carriera.

Con Aliens, Terminator 2: Il giorno del giudizio e ora Avatar: La via dell’acqua, il cineasta americano sembra aver trovato una vera e propria “formula magica” per realizzare un sequel all’altezza.

Una scena da Aliens: Scontro Finale, diretto da James Cameron
Una scena da Aliens: Scontro Finale, diretto da James Cameron (fonte: Imdb)

Una strana coincidenza che accomuna tutti i sequel realizzati da Cameron, ad esempio, è che ognuno di questi è arrivato sette anni dopo l’uscita del primo film. In tutti i casi, il “secondo capitolo” ha spianato la strada ad ulteriori seguiti e spin-off. In ogni caso, Cameron (che ha scritto o condiviso i crediti di sceneggiatura su tutti e tre) ha abilmente ampliato, piuttosto che semplicemente replicato, il modello esistente, forse in modo più impressionante con Aliens, che era basato su un film diretto da Ridley Scott e non da lui.

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Dopo l’esperienza tesissima e claustrofobica del primo Alien, una sorta di gioco del gatto e del topo nello spazio, il sequel ha previsto la presenza di numerosi marines per una battaglia avventurosa e muscolare, che includeva l’introduzione di dinamiche più complesse e nuove specie aliene.

Allo stesso modo, Cameron ha rivisitato la formula del film originale ne Il giorno del giudizio, trasformando il cattivo nell’eroe e introducendo una nuova e diversa minaccia meccanizzata da affrontare per il cyborg di Arnold Schwarzenegger.

Il secondo Terminator ha inoltre segnato all’epoca, con il suo robot liquido mutaforma, un enorme balzo in avanti per quello che riguarda gli effetti visivi generati al computer: un salto di qualità che ha contribuito a gettare le basi per Jurassic Park e per l’esplosione tecnologica che ne è seguita. Anche il secondo Avatar si è giocato quella carta e ha alzato di nuovo l’asticella in termini di perfezione digitale.

James Cameron | L’arte del sequel

In una recente intervista con un giornalista di Chicago, è stato lo stesso James Cameron a riassumere il suo approccio ai sequel dicendo: “Rassicura il pubblico facendogli ritrovare le cose che gli sono piaciute del primo film, ma capovolgile e mescolale per sorprenderlo”. Ma in realtà, ad uno sguardo più attento, il vero segreto dei sequel targati Cameron sta nell’approfondimento emotivo che ogni secondo film introduce.

Nel caso di Aliens, ad esempio, Sigourney Weaver diventava non solo una eroina d’azione, ma una madre surrogata, radicando il film in un contesto psicologico più profondo. E infatti, al di là degli evidenti progressi tecnologici, il nuovo Avatar espande la dinamica di coppia del primo film per esplorare le più articolate dinamiche di una intera famiglia, con le nuove generazioni che cercano di misurarsi con i loro genitori.

James Cameron ha dimostrato più volte come l’arte del sequel sia più di un semplice esercizio accademico. In un’industria dell’intrattenimento che sempre più spesso si rifugia nel comfort della familiarità e si limita a replicare ciò che ha funzionato prima, Avatar: La via dell’acqua (la nostra recensione)rende visibile una strada diversa, e strettissima, da seguire.