Rocketman, la recensione del biopic musicale sulla vita di Elton John

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Da piccolo era un bambino sensibile con la musica nel sangue, un bambino che cercava disperatamente e invano l’affetto nei gesti e nelle parole dei suoi genitori, in un abbraccio del padre o in una parola dolce della madre. Un affetto mai del tutto riscontrato e mutato in un vuoto emotivo. La scoperta della musica e del suo talento, però, coltivati poi attraverso la frequentazione della Royal Academy of Music, così come anche la nascita del sodalizio umano e artistico con Bernie Taupin (Jamie Bell nel film), saranno fondamentali punti di svolta nella sua vita.

Anche se, in sottofondo, la malinconia e il dolore per il fatto di non riuscire a sentirsi mai realmente e liberamente sé stesso, e anche nella difficoltà di manifestare al mondo il proprio orientamento sessuale, continueranno a spingerlo verso le dipendenze quale metodo “facile” per lenire i forti stati di depressione: dipendenza dall’alcool, dalle droghe, dal sesso, dal cibo, dallo shopping. Una vita straordinaria che come spesso accade alle vite straordinarie parte da una condizione di forte disagio, da quel senso profondo di non accettazione del sé e che poi, di contro, va a nutrire la creatività e il talento, più unico che raro nel caso di Elton John.

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I’m still standing

Rocketman di Dexter Fletcher parte da quel bambino, e dal percorso racchiuso nelle parole “devi uccidere la persona che sei per diventare la persona che vuoi davvero essere” per raccontare con un film dinamico che fonde valore biografico e intrattenimento, e che rivela il viaggio (e in certi sensi anche calvario) compiuto da Reginald Dwight per diventare Sir Elton Hercules John. In un film generalmente canonico e mainstream dove il biopic incontra il musical e ovviamente la musica di Elton John ci mette parecchio del suo, Dexter Fletcher riesce però forse a fare quel piccolo passo in più per innervare l’opera anche con quel pizzico di autorialità, in modo da controbilanciare con una parte di intima emozione la spettacolarità della messa in scena, sempre in bilico tra show e musica.

Dalla scelta di far interpretare la parte di Elton John a Taron Egerton (molto bravo nel riprodurre movenze ma soprattutto stati d’animo del celebre cantautore), passando per il taglio narrativo utilizzato e che mette continuamente in correlazione e a confronto l’uomo e l’artista, per arrivare poi alla scelta delle musiche e del modo in cui dosarle all’interno della narrazione, Fletcher trova dunque il linguaggio e la forma giusti per parlare di un artista senza dubbio straordinario e con tanti spettri, artefice di capolavori quali Your song, Sacrifice, Don’t Go Breakin’ my Heart, e lo stesso Rocketman che dà il titolo al film.

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Ma soprattutto, con I’m Still standing, brano che in qualche modo chiude questo biopic in musica, Rocketman isola e rilancia il messaggio più forte di questa storia, di una vita spesa per l’arte e alla ricerca di sé stessi, con la volontà di resistere sempre senza mollare di fronte alle tante sfide della vita. Con I’m Still Standing l’Elton John fragile e potente raccontato da Dexter Fletcher trova finalmente il suo riscatto, la sua dimensione esistenziale, e si avvicina sempre di più alla persona che voleva essere, paga del fatto di “essere ancora in piedi”, nonostante tutto. 

Rocketman, la recensione del biopic musicale sulla vita di Elton John
4 Punteggio
Riepilogo Recensione
Presentato fuori concorso a Cannes 2019, Rocketman di Dexter Fletcher ripercorre formazione, dolori, e successi della straordinaria vita di Elton John. In un biopic musicale che mescola piuttosto bene forma e contenuti, Fletcher riesce nell’intento di riassumere le svolte cruciali della parabola umana e professionale del celebre cantautore londinese, segnata da tanti momenti bui e di depressione, ma anche da uno straordinario successo e da alcuni legami davvero speciali.
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

By Elena Pedoto

In me la passione per il cinema non è stata fulminea, ma è cresciuta nel tempo, diventando però da un certo punto in poi una compagna di viaggio a dir poco irrinunciabile. Harry ti presento Sally e Quattro matrimoni e un funerale sono da sempre i miei due capisaldi in fatto di cinema (lato commedia), anche se poi – crescendo e “maturando” – mi sono avvicinata sempre di più e con più convinzione al cinema d’autore cosiddetto di “nicchia”, tanto che oggi scalpito letteralmente nell’attesa di vedere ai Festival (toglietemi tutto ma non il mio Cannes) un nuovo film francese, russo, rumeno, iraniano, turco… Lo so, non sono proprio gusti adatti ad ogni palato, ma con il tempo (diciamo pure vecchiaia) si impara anche ad amare il fatto di poter essere una voce fuori dal coro...

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