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The Mastermind, la recensione del film con Josh O’Connor

The Mastermind di Kelly Reichardt è stato ufficialmente presentato nella sezione “in concorso” alla settantottesima edizione del Festival di Cannes.

La regista ambienta il suo film nel Massachusetts degli anni 70, in un America in fermento tra le proteste per la guerra del Vietnam e il desiderio di cambiamento. JB Mooney (Josh O’Connor) è un falegname disoccupato, che occupa il suo tempo visitando il museo d’arte locale con i figli e si esercita a commettere piccoli furti.

Il protagonista del film si gode l’ozio forzato della cittadina di Framingham: in un ambiente in cui tutto appare stantio, lo stesso JB è disoccupato, l’unico modo di impiegare il tempo è quello di pensare a come migliorare la propria situazione. Rapinare il museo d’arte di alcuni quadri di valore utilizzando complici maldestri e inaffidabili pare pertanto la soluzione giusta per rimpinguare le proprie finanze.

La scena del furto è da manuale per quanto surreale ed esilarante al tempo stesso e mostra tutta l’ingenuità e l’inesperienza del protagonista come ladro. Da quel momento il mondo che circonda JB comincia a collassare su sé stesso, mostrando quanto avventato sia stato il gesto, seppur compiuto con la “nobile” intenzione di voler aiutare economicamente la propria famiglia.

The Mastermind: tra Jazz, politica e proteste

La storia di JB funge da specchio per riflettere i moti di un paese in cambiamento: durante la sua fuga per il paese vengono sovente inquadrati gli iconici manifesti di “I want you” per il reclutamento di giovani da mandare in Vietnam, cosi come vengono immortalati i discorsi di Nixon per cercare di calmare la tensione sempre crescente.

Non mancano anche le proteste degli hippie e degli studenti per cercare di fermare una guerra ritenuta ingiusta. Il protagonista osserva passivo i cambiamenti del mondo circostante, troppo impegnato a cercare di salvare il suo mondo: gli amici che pian piano lo abbandonano, una famiglia che lo rinnega, la costante fuga dalle autorità e il dover cercare di volta in volta un luogo in cui dormire. Una menzione speciale all’utilizzo della musica jazz, che puntella i momenti salienti della storia con le percussioni che richiamano i sentimenti di JB.

The mastermind è un prodotto brillante, che racconta un America lontana dalle luci di Hollywood, monotona e contraddistinta dai paesaggi rurali che caratterizzano i cosiddetti “Fly over State”. Un film che rievoca i turbolenti tempi del presente e che fa riflettere su quanto sia importante essere a conoscenza degli eventi che ci circondano, prima di essere inghiottiti dalla realtà come accade a JB.

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