Uscirà venerdì prossimo, 21 Settembre, distribuito in centocinquanta copie da Teodora e Spazio Cinema, il nuovo film di Giuseppe Piccioni, Il rosso e il blu. Liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Marco Lodoli, questa pellicola è un affresco romantico, ironico, ma che fornisce anche degli spunti di riflessione sulla scuola. L’azione si svolge in un liceo romano, dove un giovane supplente, il prof. Prezioso (Riccardo Scamarcio) cerca di dare il massimo nell’insegnamento, ma si scontrerà con la disillusione del vecchio prof. Fiorito (Roberto Herlitzka) e i modi rigidi, ma sotto sotto materni, della Preside Giuliana (Margherita Buy). Stamane il regista, il cast, la sceneggiatrice e l’autore Marco Lodoli hanno incontrato la stampa.

 

Fare oggi un film sulla scuola  e metterla così al centro del dibattito culturale è una scelta politica oggi. Sei d’accordo?

Giuseppe Piccioni: Mi è sembrato che la scuola avesse bisogno di essere raccontata, ho cercato una scuola normale con i disagi di oggi. Di questi tempi mi interessava raccontare quello che ancora nella scuola va difeso. L’ho fatto con una leggerezza a cui ho deciso di tornare con una commedia, ma non ho avuto la consapevolezza di fare un film politico. Il rosso e il blu nasce dal mio desiderio di raccontare quel mondo: i destini, le aspettative, le disillusioni e il crocevia di destini fra adulti e adolescenti. Volevo fare un film che riguardasse il rapporto fra adulti e adolescenti, così la mia produttrice (Donatella Botti ndr) mi ha consigliato di leggere questo libro di Marco Lodoli.

In quale scuola avete girato e come avete trovato i ragazzi?

G.P.: I ragazzi li abbiamo trovati con un grande lavoro di assistenti, coordinato da Massimo Apolloni. Uno dei protagonisti, il ragazzo che interpreta Adam, Ionut Paun è bravissimo. Tra i vari licei abbiamo fatto una scrematura e poi abbiamo composto la classe che vedete nel film. Abbiamo girato nei locali di una scuola media che si trova accanto al Liceo Manara di Monteverde.

Tornando a scuola, per girare e raccontare questa storia, i ricordi riafforano. La funzione di questa istituzione quanto è cambiata? È esautorata o no secondo voi?

Riccardo Scamarcio: Che sia esautorata non mi sembra. Nella scuola che è stata scelta per girare abbiamo assistito a delle lezioni, cercando un professore che potesse ispirarci. Mi è sembrato quindi che la scuola non sia tanto cambiata da quando l’ho lasciata. È ancora un luogo di integrazione fra adulti e adolescenti. Però il rovescio della medaglia è che le strutture non sono state rimodernate. Mi sembra assolutamente che la scuola continui a mantenere un ruolo fondamentale, anche se chi ci governa non la considera il luogo da cui ripartire.

G.P.: Nel personaggio magistralmente interpretato da Herlitzka, su cui è stato fatto un lavoro di astrazione, c’è qualcosa di più dell’arrabbiatura, della disillusione. È un personaggio quasi dickensiano, rappresenta la scuola del ‘900 fino ai giorni nostri. Però questo disincanto alla fine trova una soluzione di raccordo col presente. Per me la scuola ha avuto un effetto ritardato, mi ricordo degli insegnamenti dei professori, in verità rimane un grumo di ricordi che ci ha aiutato a diventare uomini. Con ciò penso che sia fondamentale oggi nella scuola rimettere al centro la figura degli insegnanti e dei ragazzi.

Margherita Buy: I film sono sempre l’occasione per parlare di tematiche enormi. Il rapporto professore- alunno è sempre lo stesso: la poca voglia di studiare non manca mai, ma anche i grandi incontri rientrano all’interno di questo rapporto. I professori ti rimangono nella vita. I ricordi dei corridoi, dei bagni, delle litigate rimangono. Di racconti sulla propria scuola se ne potrebbero fare tantissimi. Attualmente la situazione mi pare uguale a quella che fu la mia, l’importanza data alla scuola è sempre di livello bassissimo. Tutto uguale se non peggio.

Roberto Herlitzka: Quello che mi sembra cambiato veramente è la disciplina. Ai miei tempi ci doveva essere disciplina. Oggi invece mi sembra che sia messa un po’ da parte allora i ragazzi hanno tutt’altro da pensare, e quindi non si accorgono del bello che c’è nello studio. Il mutamento è in questo, aiutato da questo tipo di scuola che è internet,  in cui tutti trovano quello che vogliono senza doverlo cercare.

Lodoli, lei dal di dentro può dirci meglio come è cambiata la scuola. Cosa ne pensa della trasformazione delle scuole in piccole aziende?

Marco Lodoli: È vero che oggi la scuola si è trasformata in un’azienda, perché c’è la tendenza a seguire uno stile anglosassone, perciò le figure come Fiorito o Preziosi sono un po’ decadute. Da scrittore dico che dentro al film il bello è il tema dell’illusione e della disillusione. Nella grande disillusione rientra un grande amore per la vita e nella grande illusione c’è lo sbandamento: sono due stati d’animo che si toccano. Poi anche l’idea della giovinezza: un mondo che mette a soqquadro tutto e il disilluso si riaccende per un attimo, mentre l’illuso trova respiro. Insomma il bello di questo film sta nel cercare di mostrare l’inganno e la bellezza dell’esistenza.

G.P.: Sono un po’ stufo di questi film che vengono giudicati per quello che trattano. Io non faccio un film per fare un talk show sull’argomento. Io rivendico la possibilità di fare un film sull’argomento e di usare l’arte cinematografica per rappresentarne la realtà. Rappresentare le aule sfondate e dire che la scuola fa schifo, mi avrebbe fatto ottenere facili consensi. Invece ho voluto dire che si la scuola fa schifo, ma anche far vedere quello che di buono c’è e andrebbe mantenuto, come il rapporto fra le persone.

In fase di sceneggiatura vi siete posti il problema delle generalizzazioni?

Francesca Manieri (sceneggiatrice): Siamo partiti da un’immagine, La zattera della Medusa di Gericault: un naufragio che avviene per errore del nocchiero, in cui c’è la volontà di naufragare. Perciò abbiamo voluto raccontare questa complessità della nostra era, mediante più storie. Il multistrem espone però la narrazione al rischio dell’emblematicità. Con la visionarietà di Marco e il linguaggio filmico tipico di Giuseppe penso che siamo riusciti ad evitare questo rischio. Abbiamo quindi scelto il multistream ribaltandolo e inserendo una sorta di cinismo, diagonale ironica che sega la complessità della realtà.

La scelta del titolo, riferimenti a tutto ciò a cui è legato nella scuola?

M.L.: Questo titolo richiama la matita rossa e blu, che i professori usano per correggere errori gravi e meno gravi. Poi richiama i colori primari, uno caldo che identifica la passione e l’altro freddo. È un’immagine che si lega alla primarietà dei sentimenti che animano la scuola. Il rosso e il blu animano, in senso memorabile con i due colori essenziali, l’arcobaleno di sentimenti della scuola.” Il dialogo generazionale fra Prezioso e Fiorito è un duello attoriale  risolto con un dialogo di grande intensità che riesce a condensare lo spirito del libro. Come ha gestito la recitazione?

R.H.: Non mi pare che ci sia un conflitto di metodi, ma piuttosto di posizioni, nel senso che il mio personaggio ha in odio tutto quello che probabilmente lui stesso aveva già vissuto. Siccome dalla sua esperienza tutti questi modi sono risultati inutili o controproducenti, vedere un altro che si predispone a prendere la stessa strada, gli dà una scossa e, in modo meschino, se la prende con la persona e vuole distruggere tutte le cose che la persona pensa. Quindi più che uno scontro diviene una piccola lotta quasi buffa.

R.S.: Sono d’accordo con la lettura di Roberto. Il mio personaggio è convinto di rompere questa barriera, di scendere dal palcoscenico che immagina essere la cattedra, mostrando un’apertura nei confronti di chi ascolta e una perdita di autorevolezza, quindi una sorta di corruzione. Nel cercare di essere compresi si fa uno sforzo, ci si avvicina, che è diverso dal pensare che tutti sono capaci di fare tutto. Dispensare questa specie di omologazione attraverso i social network è uno strumento potentissimo, che si basa su questo avvicinarsi e neutralizzare i ruoli.

C’è una cosa che sorprende. Avete azzerato il racconto dell’amore tra ragazzi. Perché non c’è questo tipo di tensione?

G.P.: Questo film non può essere un catalogo rappresentativo della scuola o della vita adolescenziale. Diciamo che non mi dispiacerebbe fare un secondo Il rosso e il blu. Però alcune cose sono state trascurate perché non rientravano nel racconto. Non abbiamo voluto mettere a fuoco altre cose.

Come è stato scelto il finale?

G.P. : Al montaggio, con Esmeralda Calabria, ci siamo trovati due, tre finali. La panoramica chela mdp fa sui banchi contiene un’energia implosa, aspettando la fatidica campanella dell’ultimo giorno suoni. Ho enfatizzato i silenzi e l’imbarazzo di Riccardo. La sensazione delle voci che si allontanavano mentre la mdp rimane sui banchi, per me era la giusta immagine del teatro di tante aspettative, così è venuta fuori la scelta del finale. Senza virtuosismi di macchina mi sono messo al servizio degli attori, che mi sono venuti incontro e Roberto, nella prova, mi ha stupito quando si è sdraiato sul tavolo, ma l’abbiamo lasciato andare avanti tra lo sgomento e il divertimento di tutti .Anche nel momento del ballo ha tirato fuori questo blues cantato e io non riuscivo a dare lo stop!

I grandi attori hanno lavorato con ragazzi senza esperienza. Vi siete rispecchiati in loro?

R.S.: Abbiamo lavorato per un mese e mezzo con un caldo pazzesco, mi ero accorto che si erano formate delle coppiette e rivedere queste cose mi ha molto colpito lasciandomi un piccolo senso di nostalgia. Bellissimo.

M.B.: Nel rapporto con Brugnoli (Davide Giordano, ndr.) mi sono rivista, con tutte le paure incertezze che hai quando incominci.

R.H.: Io non posso dire di essermi ritrovato perché ho iniziato col teatro. Però mi sono reso conto che i bambini sono i migliori attori che esistano, perché hanno la naturalità. Li ho trovati bravissimi i ragazzi, che sono sempre degli spettacoli.