L’amore secondo Woody Allen, da Io e Annie ad Irrational Man

E’ uscito lo scorso 16 dicembre il nuovo film del sempre attivo e prolifico Woody Allen. Dopo aver analizzato le tematiche magiche e religiose nel suo Magic in the moonlight, permeato da un gusto rétro e vintage, il regista statunitense torna alla contemporaneità per una pellicola incentrata nuovamente sul complesso e sfaccettato sentimento amoroso, questa volta messo in contrapposizione con quello ancora più totale e distruttivo della morte. Protagonisti di questo nuovo Irrational Man Emma Stone e Joaquin Phoenix, novella coppia al servizio dello psicanalista Allen che, ancora una volta, torna sui propri passi per analizzare emozioni che, per quanto necessarie alla vitalità della persona, risultano purtroppo impalpabili e fallaci. Proprio perché, quando meno lo si aspetta, “l’amore svanisce”, come sentenziato laconicamente dalla passante di Io e Annie che, pur essendo una presenza esterna e insignificante rispetto alla vicenda, pronuncia questa frase come se avesse seguito i drammi e i dissidi interiori del protagonista Alvy da spettatrice tra il pubblico. Vi è la completa negazione del sentimento romanticamente inteso, di un “amore vero” che possa durare per sempre. Tutto è destinato a svanire. Ma, a maggior ragione, ogni relazione è destinata a fallire se basata su presupposti meramente “culturali” e intellettuali”. Per definizione la persona “affamata” di cultura è portata a cercare stimoli esterni alla propria realtà esistenziale, quindi più propensa a lasciare dopo poco tempo il proprio partner in cerca di esperienze sempre nuove e diverse. Dal momento che, come in Bergman, i protagonisti di Allen sono quasi sempre artisti, pittori, scrittori o intellettuali, è facile capire come le loro relazioni siano segnate in partenza. E anche in questo caso questo nuovo Irrational Man non fa eccezione.

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Quindici anni dopo il capolavoro di Io e Annie, in cui Allen analizza in maniera cinica, ma allo stesso tempo agrodolce, le gioie e i dolori del sentimento amoroso, in Mariti e mogli il tono diventa cupo e senza redenzione, dai primi minuti fino al termine della pellicola. Una visione pessimistica che ricorda da vicino quella di Jean-Paul Sartre. Non è un caso, infatti, che, in una delle sequenze iniziali del film, il personaggio di Judy, interpretato da Mia Farrow, stringa fra le proprie braccia proprio uno dei libri più famosi del filosofo francese. La teoria sartriana si fonda sulla presenza di un elemento di “non autenticità” e “finzione” alla base dell’amore stesso, che impedisce a qualsiasi sentimento di manifestarsi nella sua forma più pura e reale. E’ innegabile infatti una quasi spasmodica ossessione di Allen nei confronti di tematiche quali il “tradimento” e la “dissimulazione”, emblematicamente sintetizzate in personaggi come quello di Zelig. Nonostante Allen sia decisamente più indulgente rispetto a qualsiasi filosofia esistenzialista di matrice kierkegaardiana, considerando utopistico il raggiungimento di una totale autenticità da parte degli uomini, condanna un qualsiasi amore che sia basato sul rapporto tra una donna e la falsa apparenza di un uomo che, in realtà, nasconde ben altro. Da questo la sostanziale impossibilità di Zelig di amare e poter essere amato, in quanto privo di un “io” che sia unico e immutabile. La vera potenza del sentimento amoroso può essere espressa solo se a ricevere “amore” è la propria essenza e la propria personalità, e non la maschera che mostriamo in superficie. Proprio per questo, il narratore di Zelig informa alla fine che “non fu tanto l’approvazione dei più, bensì l’amore di una singola donna” a cambiare la vita del protagonista. Riprendendo il tipico razionalismo di stampo cartesiano, Sartre individua il fondamento ultimo delle nostre emozioni nel tessuto empirico della realtà che ci circonda. Non esistono sentimenti eterei, “platonici”, bensì sentimenti che nascono e si perpetuano tra le pieghe del mondo reale e della vita quotidiana.

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Non secondariamente, il sentimento amoroso è messo in costante pericolo dallo sguardo di persone “esterne”, dalla consapevolezza che ciò che appare agli occhi estranei di altri individui non corrisponde mai a ciò che vedono e percepiscono gli occhi dei due innamorati. Per questo la volontà della coppia protagonista di Mariti e mogli di farsi in qualche modo aiutare a analizzare da due amici. Ambivalente invece è il rapporto del regista con il frutto concreto dell’amore, la prole. Se da una parte i bambini per Allen sono la causa ultima di ogni sorta di problema pratico e imprevisto, dall’altra li considera alla pari (se non addirittura più intelligenti) dei loro genitori adulti, rendendoli partecipi delle loro ossessioni, istruendoli sulle relazioni amorose (Manhattan, Harry a pezzi) e portandoli al cinema per la visione di film colti e impegnati (Crimini e misfatti). In pellicole come Una commedia sexy in una notte di mezza estate Allen si sofferma invece sui problemi di un eccessivo impulso edonistico, in contrapposizione alla vacuità filosofica e morale di determinati personaggi. Emblematica è la morte di Leopold quando, armato di arco e frecce e con addosso soltanto una vestaglia, cerca di emulare un pagano rituale dionisiaco attraverso un rapporto sessuale con la fidanzata Dulcy. La visione disincantata che il regista ci propone è simbolicamente sintetizzata nella inquadratura finale del personaggio di Ben in Crimini e misfatti.

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La frase emblematica: “se necessario, sceglierei Dio al posto della verità”. Il presupposto è che il mondo universalmente inteso, la vita reale, è sostanzialmente indifferente e incurante del tentativo, tutto umano, di una infinita ricerca della felicità attraverso le gioie dell’amore, della famiglia e dell’amicizia. A questo punto è facile capire la frase di Ben. E’ assolutamente controproducente e doloroso ricercare una verità che, per quanto soddisfacente sul piano intellettuale e teorico, produrrebbe depressione e crisi esistenziale. E’ invece meglio per il benessere umano perseguire relazioni sentimentali per il semplice gusto di star bene, senza interrogarsi sul valore ultimo del sentimento che si prova. L’amore per Woody Allen è tutto questo: da una parte un sentimento necessario a contrastare la profonda tristezza della esistenza umana, a farci illudere che, nonostante i nostri difetti e la nostra natura imperfetta ci possano essere persone disposte ad accettarci per quello che siamo, dall’altra qualcosa di effettivamente irraggiungibile. Ancora una volta tutto è destinato a svanire e, pur godendo di quei brevi e illusori momenti di felicità, tutti noi siamo costretti a dover affrontare la dura realtà: “amare è soffrire e, se non si vuol soffrire, non si deve amare”. “Però allora si soffre di non amare. Pertanto amare è soffrire, non amare è soffrire, e soffrire è soffrire. Essere felice è amare: allora essere felice è soffrire. Ma soffrire ci rende infelici. Pertanto per essere infelici si deve amare, o amare e soffrire, o soffrire per troppa felicità