Il leggendario Robert De Niro, dopo aver ricevuto la Palma d’oro alla carriera dalle mani di Leonardo DiCaprio, è stato protagonista di un affollatissimo incontro a Cannes insieme al fotografo e artista JR.
“Se ho paura di morire? Non ho scelta, quindi la paura non serve a nulla”. Così Robert De Niro, 81 anni, una carriera leggendaria alle spalle, si confessa al Festival di Cannes in dialogo con l’amico e collaboratore JR, a cui è stato affidato il difficile compito di condurre un incontro di oltre un’ora con un attore noto soprattutto per i suoi silenzi e la sua laconicità. Si è sbottonato infatti pochissimo De Niro, che proprio con JR sta lavorando a un film-documentario sulla sua vita, sulle sue radici, sul suo invecchiamento, sulla sua famiglia (passata, presente e futura).
Un esperimento girato in presa diretta, nel corso degli anni, e di cui non si conosce la fine (e quindi una ipotetica data di uscita). “Non importa se uscirà quando sarò morto, non è mai stato questo il punto”, afferma il divo americano in uno dei momenti del film, di cui è stata proiettata una breve anteprima in esclusiva per il festival.
Robert De Niro e la ricerca della sua identità
Il documentario, dal provvisorio titolo di The Past Goes Fast, nasce inizialmente dalla volontà di De Niro di indagare la misteriosa figura di suo padre: pittore, poeta e scultore formatosi con l’espressionista tedesco Hans Hofmann, dopo aver frequentato il Black Mountain College di Asheville.
Nel 1940 conobbe Virginia Admiral, futura madre di De Niro Jr., anche lei pittrice. Solo poco dopo la nascita del figlio i due si separarono e De Niro Sr. si dichiarò omosessuale. The Past Goes Fast inizialmente doveva raccontare la carriera artistica del padre di De Niro attraverso il suo lavoro e i diari privati, ma con il passare del tempo, e con la progressiva scoperta di nuovi materiali riguardanti la sua famiglia, il film è diventato qualcosa di diverso: allo stesso tempo un testamento e un coraggioso salto nel vuoto, nell’ignoto di una storia famigliare che non si è mai voluto approfondire troppo.

“Da ragazzo non ascoltavo i racconti di mia madre, non mi interessava. La mia testa era completamente altrove”, spiega De Niro. “Adesso invece voglio conservare intatta la memoria, perché voglio che i miei figli più grandi sappiano chi era mio padre. Attraverso il suo studio cerco di tenerlo il più possibile in vita, affinché anche i miei figli più giovani possano capire cosa significava per lui muoversi in quello spazio”.
La macchina da presa è quindi stavolta puntata sulla vita privata di De Niro, solitamente schivo al riguardo, che però ha voluto confidarsi con JR, permettendogli addirittura di leggere dei diari dei suoi genitori che lui stesso non ha mai voluto aprire. Lo ha fatto nello studio newyorkese in cui Robert Henry De Niro realizzò molte delle sue opere, rimasto come lo aveva lasciato dopo la sua scomparsa.
Il progetto di una vita
Per aiutare l’attore a connettersi emotivamente con la storia della sua famiglia, JR lo ha coinvolto in una serie di performance, lavorando con alcune stampe a dimensioni gigantesche di vecchie foto del padre o dello stesso De Niro da bambino.
Stampe che diventano oggetti da trascinare con fatica, oppure superfici sulle quali stendersi. Tra le tele, i diari e gli effetti personali di De Niro padre, la voce e il volto di De Niro figlio si alternano ai fotogrammi di video d’epoca che ritraggono l’artista morto nel 1993 per cancro, in onore del quale è stata anche organizzata una mostra presso la Galleria Salander-O’Reilly di New York.

La cosa che più affascina De Niro di questa nuova avventura è il fatto di non avere una scadenza imminente o una direzione precisa da dover prendere. “Non dobbiamo preoccuparci di avere una consegna”, spiega, citando la Up Series di Michael Apted e Paul Almond come punto di riferimento.
“In passato ho fatto un altro documentario su mio padre, ma era per HBO. Quindi doveva essere fatto in una certa maniera ed essere pronto in un determinato lasso di tempo. Questa volta ho sentito che doveva essere qualcosa di diverso, che non ci dovevamo porre il problema di ciò che stavamo andando a fare, ma che lo dovevamo fare e basta”.
“Il mio primo film al cinema? La Bella e la Bestia”
La seconda metà dell’incontro è stata invece dedicata ad alcune domande provenienti dal pubblico e dagli spettatori interessati a conoscere i gusti cinematografici di De Niro e le sue fonti di ispirazione. La star di Taxi Driver cita nuovamente Montgomery Clift e Marlon Brando come numi tutelari e alcuni film di Elia Kazan tra quelli che lo hanno maggiormente colpito da giovane: Fronte del porto e Splendore nell’erba su tutti.
“Il primo film ad aver visto al cinema è stato probabilmente La Bella e la Bestia di Jean Cocteau, perché mi ci portarono i miei genitori. Con mio padre spesso andavo al cinema: per lui era più facile portarmi lì quando stavamo insieme, così non dovevamo parlare. Con lui andavo spesso in un cinema New York dove si proiettavano solo commedie. Quelle di Gianni e Pinotto e di Stanlio e Ollio…”.
Una giovane ragazza dalla Georgia gli chiede invece una sua opinione sulla progressiva trasformazione delle democrazie in autocrazie, causata dalla avanzata delle destre in tutto il mondo.
De Niro, che anche nel discorso di accettazione della Palma d’oro ha voluto attaccare frontalmente Trump, non si sottrae: “Le persone devono lottare per ciò che è giusto, perché intrinsecamente le persone sanno cosa è giusto. Devono avere il diritto di poter prendere decisioni collettivamente. Chi ha il potere, politico o economico, spesso non fa la cosa giusta, pur sapendo quale sarebbe. Ed è una cosa stupida, perché non capiscono che facendo del bene si mantiene anche più facilmente quel potere che si detiene”.