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Festa del Cinema di Roma 2023: Past Lives, la recensione | Uno dei film più romantici e seducenti degli ultimi anni

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I due protagonisti di Past Lives in una scena del film (fonte: IMDB)

I due protagonisti di Past Lives in una scena del film (fonte: Ufficio Stampa) –  Newscinema.it

Past Lives, primo film semi-autobiografico della drammaturga coreana, naturalizzata americana, Celine Song, è un capolavoro di minimalismo che emoziona senza dire troppo sui sentimenti dei suoi protagonisti.

Festa del Cinema di Roma 2023: Past Lives, la recensione | Uno dei film più romantici e seducenti degli ultimi anni
4 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

Due amici di infanzia si perdono e si ritrovano. Seguiamo, da spettatori, l’evolversi della loro relazione in tre archi temporali, in cui i due si sfiorano continuamente senza mai aver modo di esprimere pienamente quel sentimento che li ha tenuti insieme, nonostante la distanza e le separazioni, in tutti questi anni.

Ispirandosi al fatalismo amoroso dello “in-yuan”, proprio della tradizione coreana legata alla reincarnazione, quello di Celine Song è un film di grande potenza che dice molto dell’amore inespresso e incompiuto.

Separati dalla partenza di Nora (una perfetta Greta Lee) verso gli Stati Uniti, i due innamorati d’infanzia a Seoul si cercano e si ritrovano attraverso due decenni, senza sapere cosa fare della loro reciproca attrazione e del divario culturale che li separa. Con un ritmo perfettamente bilanciato, Past Lives è un film riuscitissimo, che non nasconde l’influenza di Richard Linklater e indugia in una leggera malinconia, in una dolce disillusione sui propri sentimenti, molto moderna.

Una scena del film Past Lives (fonte: IMDB)

Una scena del film Past Lives (Ufficio Stampa) – NewsCinema.it

Past Lives: La rifioritura di una relazione

Quello di Song è il tipo di film che avrebbe potuto facilmente crollare sotto il peso del suo stesso sentimentalismo, eppure Past Lives finisce per non riguardare tanto la rifioritura costante di una relazione, il resistere di un amore alle difficoltà e agli inconvenienti, quanto l’esumazione e l’analisi di quelle possibilità di cui il passato era un tempo gravido e che adesso – ci si accorge – non sono più lì per essere colte. Il film di Song si espande e si decomprime nello spazio: quello intangibile tra le parole e quello fisico tra i corpi. La macchina da presa inquadra spesso Nora e Hae Sung l’uno di fronte all’altro, come se i due si stessero per avvicinare senza mai farlo davvero, come particelle in un campo magnetico che le attrae e le respinge senza permettere collisioni e contatti.

Non solo l’amore accomuna i due protagonisti, ma anche la difficoltà di lasciarsi alle spalle il proprio vecchio sé. Nora è ovviamente cambiata e la versione di lei che Hae Sung conosceva non esiste più. Lei è una capsula del tempo per lui, come lui lo è per lei. L’uno nell’altro, possono visitare e piangere chi erano una volta.

Se i film romantici tendono a seguire uno schema molto rigido – il ragazzo incontra la ragazza, il ragazzo perde la ragazza, il ragazzo riprende la ragazza – questo Past Lives immagina una forma trascendente di amore per Nora rispetto agli uomini della sua vita, che può essere intellettuale, platonica e romantica allo stesso tempo. Che li abbraccia tutti e li protegge come presenze ugualmente preziose.

Il concetto, secondo la filosofia coreana, è che, per trovare davvero la propria anima gemella, si deve prendere sul serio ogni interazione, dal momento che ogni incontro è un passo fondamentale per arrivare a “quello che deve essere” (wonleh geuleonkeoya, 원래 그런거야): a quello “che è scritto”, maktub, in un senso religioso.

Se si ignora qualcuno lungo il cammino o se, peggio, lo si maltratta, si è condannati a perdersi, in un profondo senso metafisico: a non trovare mai il proprio amore né il proprio destino. L’enfasi, nella filosofia dello “in-yeon” è perciò sul viaggio piuttosto che sulla destinazione, sulla compassione che si deve a tutti coloro che incrociamo lungo la strada e non solo alle persone più vicine per legami emotivi o famigliari.

Pensando poi alla lunga tradizione popolare e spirituale legata al concetto di reincarnazione, si capisce come il prendersi e lasciarsi dei due protagonisti di Past Lives non riguardi solo il presente, ma anche, appunto, le “vite passate”, di cui lo spettatore (e gli stessi personaggi) non ha nessuna conoscenza pregressa, non potendo sapere se, almeno in un’altra esistenza, sotto un’altra forma, quell’amore abbia avuto effettivamente modo di compiersi.

Una scena del film Past Lives (fonte: IMDB)

Una scena del film Past Lives (fonte: IMDB) – Newscinema.it

Ciò che accomuna questi amanti è la profonda cura e l’assoluto rispetto che dimostrano in ogni occasione gli uni per gli altri, senza gelosie ed egoismi, ma plasmati dalla maturità che deriva dalla distanza e dal tempo. Il sorriso di Greta Lee rimane a metà tra la felicità conquistata e quella a cui si è dovuto rinunciare, mentre Teo Yoo e John Magaro declinano in maniera differente il maschile senza cadere nello stereotipo. La colonna sonora di Christopher Bear e Daniel Rossen dei Grizzly Bear accompagna con eleganza la narrazione di un film che vive già da piccolo cult e che si inserisce perfettamente in quello schema produttivo che ha segnato, in tempi recenti, il successo di Minari e di Drive My Car.

Celine Song riesce a commuovere, a far provare insoddisfazione allo spettatore che ovviamente tifa per la coppia, affinché il loro amore si possa compiere definitivamente, ma allo stesso tempo rende questa storia così tormentata, per sempre incompiuta, quasi desiderabile, tanta è la dignità che dimostrano in ogni momento i personaggi coinvolti. Persone con cui il destino è stato decisamente gentile e che per questo decidono di non “sfidarlo”, chiedendogli qualcosa in più di quello che già hanno. Personaggi scissi tra la necessità di agire (dimostrandosi generosi e attenti agli altri, secondo lo “in-yeon”) e la passività di chi aspetta di conoscere ciò che la vita ha apparecchiato per loro. L’esempio di come ogni relazione sana dovrebbe essere, rappresentato però nel momento in cui il sentimento amoroso rimane frustrato, inespresso, non corrisposto. Uno stimolo ad accettare che le cose non vanno sempre come i film, maliziosamente e crudelmente, ci raccontano.

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Silent Night – Il silenzio della vendetta, recensione | Sangue e gang, il Natale targato John Woo

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Joel Kinnaman e Catalina Sandino Moreno in una scena di Silent Night – Il silenzio della vendetta – Fonte Foto: Ufficio stampa

Distribuito in anteprima mondiale da Plaion Pictures, dal 30 novembre, Silent Night – Il silenzio della vendetta porta la firma di John Woo. Il cineasta originario di Hong Kong confeziona un’opera d’autore, che naviga nel genere del cinema d’animazione e vede Joel Kinnaman protagonista.

Silent Night - Il silenzio della vendetta: sangue e gang, il Natale targato John Woo
3.3 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

Il ritorno dietro la macchina da presa di John Woo pesca a piene mani dal cinema di genere e ha quel sapore d’epoca che ha creato tanti cult. Per chi cercasse un action movie puramente di intrattenimento, Silent Night – Il silenzio della vendetta non è il film che fa per lui. La cultura orientale, con tutto ciò che essa si porta dietro, impregna la pellicola e le dona un’identità alquanto particolare.

Un plauso va all’interpretazione di Joel Kinnaman, che deve giocare per quasi due ore con tutte le armi a sua disposizione, a eccezione della voce. Per un attore, si può ben capire quanto sia fondamentale anche quel fattore. Eppure, l’attore svedese fa un ottimo lavoro, riuscendo a esprimere le sfumature di dolore e determinazione che attraversano il protagonista.

silent night

Joel Kinnaman in Silent Night – Il silenzio della vendetta – Foto: Ufficio stampa

Al centro della trama, una questione probabilmente sempre sin troppo attuale e pressante, quale la presenza delle gang in alcune zone dell’America. Da quello che potrebbe essere un qualsiasi fatto di cronaca nera, prende sviluppo la storia, a metà tra una critica alla società e un film d’azione puro.

Sangue che macchia le mani, le strade e i parabrezza delle automobili, la violenza scorre senza sosta, e senza che sia realmente possibile bloccarla. La polizia sembra non avere i mezzi e le capacità sufficienti a una tale impresa, motivo per cui i giustizieri solitari rischiano di proliferare.

Silent Night – Il silenzio della vendetta: la trama del film

Durante le festività natalizie, in una giornata di sole e spensierata, una famiglia sta giocando nel cortile interno di casa. Il padre (Kinnaman) spinge e fa volare sulla piccola bicicletta il bambino, mentre la mamma (Catalina Sandino Moreno) li riprende con il cellulare. Improvvisamente la scena cambia.

Dei colpi di pistola risuonano dietro l’angolo della strada, insieme al rumore di automobili che sbandano e si rincorrono. Tutto avviene in un attimo. Dei proiettili raggiungono il corpo del bambino, che giace inerme e sanguinante tra le braccia dei genitori attoniti. Lei continua a piangere, lui, preso da un istinto animale inarrestabile, si lancia all’inseguimento dei criminali.

Ne uscirà in fin di vita e senza più voce. Dopo mesi di riabilitazione, l’uomo non può capacitarsi di quanto avvenuto. La bottiglia diventa la sua insostituibile compagna, sino a quando non lascia il posto a qualcos’altro: la vendetta.

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Una scena di Silent Night – Il silenzio della vendetta – Fonte Foto: Ufficio stampa

L’autorialità del cinema d’azione

Fulcro nevralgico della storia, il tema della paternità è ciò che caratterizza nel profondo il protagonista. La perdita del figlio spinge un uomo comune a diventare altro da sè. Il protagonista decide di dedicare il resto della sua esistenza a uno scopo divenuto per lui prioritario, ma in realtà inutile per colmare quel vuoto. Il dolore è il motore, la benzina, ma è anche la causa di una rovina inevitabile e, al tempo stesso, necessaria.

Dal punto di vista del puro e semplice intrattenimento, le scene d’azione e le varie armi messe in campo forniscono uno spettacolo non indifferente, che faranno gola ai fan degli action movie tanto quanto agli estimatori di Woo. Alla sua settima regia di produzione americana, il cineasta esibisce tutta una serie di suggestioni che rimandano al suo stile e alla sua poetica, regalando autorialità al progetto.

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Wish, recensione in anteprima | Il film Disney da non perdere a Natale

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Una scena di Wish – Fonte Foto: Ufficio stampa

Nei cinema italiani dal 21 dicembre, distribuito da The Walt Disney Company Italia, Wish è il nuovo attesissimo film di Natale. Doppiatori d’eccezione, per la versione nostrana, Michele Riondino, Amadeus e la cantautrice Gaia.

Wish: in arrivo il nuovo film Disney di Natale | Recensione
3.5 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

Come in ogni favola che si rispetti, il “C’era una volta” immerge gli spettatori dentro un universo popolato di magia, di meraviglia e di magnificenza. Il regno di Rosas, nel bel mezzo del Mediterraneo, ha le sembianze di un vero e proprio paradiso. Lì, i sogni e i desideri hanno un ruolo fondamentale, ed ecco perché il sovrano ne ha così cura.

Wish mette bene in mostra il potere dei sogni, soprattutto se condivisi, e la loro importanza, che vengano realizzati oppure no. In fondo, essi sono il motore delle esistenze di ciascuno di noi. La Disney lo ha sempre saputo, come ha saputo ben sfruttare le potenzialità insite nella questione, anche stavolta.

La pellicola diretta da Chris Buck e Fawn Veerasunthorn, idealmente indirizzata a un pubblico di più piccoli, riesce a toccare le corde di chi, con i film Disney, ci è cresciuto. Una protagonista forte e accattivante, una colonna sonora assolutamente orecchiabile e una girandola di colori che travolge sin dal primissimo minuto, sono gli ingredienti iniziali, a cui si aggiungono una serie di temi ed elementi che arricchiscono il progetto.

wish

Una scena di Wish con Asha e Valentino – Fonte Foto: Ufficio stampa

Asha ha una personalità sfaccettata, nella quale chiunque può riconoscersi: è in cerca di un percorso che le permetta di esprimersi e, in un certo senso, di emanciparsi, sebbene abbia un rapporto molto stretto con la famiglia. Le radici agiscono sulle sue scelte e sui suoi sogni, ma nel viaggio che compirà arriverà a scoprire cose incredibili su se stessa e su chi la circonda.

Wish | La trama del nuovo film Disney

Asha ha 17 anni e sta per avere un colloquio niente meno che con il Re in persona, Magnifico. Quest ultimo ha bisogno di una nuova apprendista, e la ragazza potrebbe essere la sua prossima scelta. Asha non aveva neanche mai immaginato di poter ottenere una simile occasione, soprattutto pensa a quanto possa essere utile nell’ottica di realizzazione di un sogno. Non il suo, ma quello del nonno, a cui è molto affezionata e che sta per compiere 100 anni.

wish

A Rosas, infatti, i sogni dei sudditi vengono affidati al Re, che li custodisce nel suo palazzo e ne realizza uno a scelta periodicamente. La cerimonia del desiderio è uno dei momenti più attesi dalla gente, che spera di veder realizzato il suo desiderio. Quello che, però, non tutti sanno, e che scoprirà Asha a sue spese, è che il Re sceglie in base a delle idee sin troppo personali. L’improvviso arrivo di una stella invocata dalla ragazza metterà a repentaglio i piani di Magnifico.

Punti di forza e omaggi ai classici Disney

Tanti e indiscutibili sono i punti di forza di Wish, a partire dai numeri musicali sino ad arrivare alla costruzione dei personaggi. Magnifico somiglia pericolosamente a un qualsiasi governante despota che abbiamo conosciuto nel corso della storia, Simon incarna il giovane ingannato da una prospettiva appetibile, la regina Amaya è la classica donna che sa ma che se ne resta in disparte. Ovviamente, non possono mancare gli aiutanti, a cui si devono battute e spunti di riflessione, come Valentino – la capretta amica di Asha – e Dahlia (la migliore amica).

Dal senso di famiglia al valore di amicizia, dall’importanza di unirsi a quella di schierarsi, un film d’animazione come Wish dà modo di affrontare temi fondamentali con semplicità e leggerezza, arrivando a qualsiasi tipo di pubblico. I veterani dei prodotti Disney resteranno, inoltre, divertiti dalle citazioni e dagli omaggi sparsi qui e là nel corso della narrazione. E si potrebbe addittura far partire un gioco a chi ne rintraccia di più…

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Palazzina LAF, la recensione: Riondino dà voce ai confinati dell’ILVA | Una vergogna tutta italiana

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Recensione Palazzina Laf

Recensione di Palazzina Laf – Newscinema.it (Foto: Ufficio stampa)

La nostra recensione di Palazzina LAF, il primo film da regista di Michele Riondino dal 30 novembre al cinema.

Review 0
3.4 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

Denso di morale, esposto limpidamente e costruito su un contesto dialettale l’esordio registico di Michele Riondino si pone come monito sociale ancora oggi. Presentato alla 18esima edizione della Festa del cinema di Roma nella sezione Grand Public, Palazzina Laf racconta la storia di Caterino Lamanna e di tutti i lavoratori dell’acciaieria ILVA di Taranto, spediti negli anni Novanta in questa palazzina “aziendale”.

Vittime di mobbing, confinati come in esilio, pagati per fare nulla e privati della propria dignità di lavoratori. La storia di Caterino partirà dalla sua situazione privata per raccontare qualcosa di molto più amplificato.

Un film che fa da specchio a una vergogna italiana

Come dichiarato in conferenza stampa dal regista, il film vuole essere anche un omaggio a Taranto, la sua città di origine, sporcata di questa disastrosa vicenda che ad oggi ancora non ha avuto la degna risonanza a livello nazionale, rimanendo recintata all’interno della realtà pugliese.

Cercando dunque di far luce tra i favoreggiamenti e le manovre malsane, Riondino ricostruisce alla perfezione l’estetica anni Novanta tra musicassette e frontali radio delle auto, viaggiando sulle note di The bad touch in sottofondo. Diritti e doveri, pressioni su personale altamente qualificato, morti non troppo accidentali sul luogo di lavoro come conseguenza di una frattura infettata all’interno dell’azienda. Reparti confino utilizzati per azzittire, annientare la nobiltà umana e i valori di chi in realtà voleva soltanto lavorare onestamente.

Facendo opera di convincimento coercitivo, influenzando psicologicamente e materialmente chi è in situazioni economiche instabili, i dirigenti dell’ILVA suggestionavano i dipendenti spostandoli tra i settori come nulla fosse o talvolta usandoli come pedine infiltrate, spiando e punendo di conseguenza chi non restava in silenzio.

Recensione Palazzina Laf

Recensione di Palazzina Laf – Newscinema.it (Foto: Ufficio stampa)

Spazio all’ironia per raccontare il dramma

Nei suoi 99 minuti il film condensa differenti generi per arrivare a trasmettere messaggi determinanti e totalmente drammatici basati su eventi realmente accaduti, attingendo però anche alla commedia. Ed è proprio questa forse la scelta vincente del film, evitare di appesantire ulteriormente la tematica strappando qua e là un sorriso, arrivando così grazie a un’ottima scrittura, a fare centro nel cuore del vero obiettivo.

Attori convincenti, primo fra tutti Riondino stesso che per la prima volta appunto tira le redini sia dietro che davanti la macchina da presa e poi un Elio Germano nelle vesti del folle villain, aggiungono quel tanto di olio all’ingranaggio per far sì che l’intero prodotto si svuoti di retorica e al contrario risulti incisivo.

In uscita grazie a BIM distribuzione dal 30 novembre nelle nostre sale, questo ritratto di un’Italia corrotta in cui raccomandazioni e sindacati si fanno la guerra mentre i lavoratori stanno a guardare, finisce dunque per convincere nella sua formula lasciando non poche riflessioni allo spettatore e facendo ben sperare per un futuro florido di un Riondino non più solo attore ma anche direttore dell’orchestra.

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