Recensioni
Piove | L’horror si arricchisce di un nuovo gioiello firmato Paolo Strippoli
Presentato ad Alice nella città, in concorso nella sezione Panorama Italia, Piove riporta dietro la macchina da presa uno dei giovani autori più interessanti dell’attuale panorama italiano: Paolo Strippoli. Se il suo nome vi dice qualcosa, è perché è il regista di quel piccolo ma imperdibile fenomeno di A classic horror story, disponibile su Netflix.
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Piove | La trama
Dopo la morte della moglie Cristina (Cristiana Dell’Anna), Thomas (Fabrizio Rongione) deve fare i conti con una realtà difficile, pesante, ma inevitabile. La figlia piccola, Barbara (Aurora Menenti), vive su una sedia a rotelle, nella speranza che possa un giorno tornare a camminare. Il maggiore, Enrico (Francesco Gheghi), prova un odio profondo nei confronti del genitore, allontanandosene ogni giorno di più. Solo per amore di Barbara, i due continuano a convivere nella stessa casa e a scambiarsi, di tanto in tanto, qualche parola.
Come fosse uno specchio di ciò che sta vivendo la famiglia Morel, Roma viene invasa da una di melma che fuoriesce dai tombini quando piove e da una sorta di nebbia corposa e asfissiante. Sebbene non se ne conoscano le origini, appare evidente che qualcosa di strano è in atto. La capitale ha perso i suoi confini e comincia a essere popolata da esseri furiosi, privi di razionalità e di scrupoli.
Giocando con l’horror
Piove riprende e fa sue tante suggestioni, giocandoci ed elaborandole a vantaggio di un pubblico sempre più avvinto dalla storia sullo schermo – e si consiglia un grande schermo per goderne appieno. Il raffronto tra i sentimenti dei protagonisti e il contesto che li circonda fa riflettere su quanto gli uni siano legati all’altro. La rabbia, che anima (e divora) le anime, prende consistenza in una sostanza informe, come un virus che si diffonde.
L’oscurità opprime questa umanità messa pesantemente alla prova, ma un barlume di speranza persiste, nella figura di Barbara. La ragazzina non ha mai smesso di credere che le cose si sistemino, libera dai sensi di colpa e dalle recriminazioni. L’amore, la famiglia, l’amicizia, il perdono, si affacciano, timidi ma potenti, a ricordare che non tutto è perduto. Che la salvezza può nascere dai piccoli gesti.
Piove | Un progetto encomiabile
Ciò che sembra ricercare il pugliese Strippoli, classe 1993, è lo studio del genere. Nel suo caso, è l’horror a interessarlo, motivo per cui i suoi due lungometraggi sembrano delle declinazioni alquanto originali – soprattutto considerando il contesto in cui lavora – e personali. La passione messa in campo è fuori discussione, e oltre modo funzionale a far sì che ogni elemento concorra a rendere l’effetto migliore.
La fotografia, la musica, le interpretazioni, l’ambientazione, creano i presupposti affinché la fruizione risulti godibile e l’attenzione costantemente stimolata. Ci troviamo dinanzi a un progetto encomiabile, capace di rintracciare una sua precisa identità, rivelandosi al tempo stesso esportabile ovunque. Non a caso, il film è stato presentato e apprezzato in varie kermesse internazionali, da Austin a Strasburgo, passando per Sitges e Brooklyn.
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Piove arriva in sala il 10 novembre 2022, distribuito da Fandango.
Recensioni
Borderlands, recensione: una Cate Blanchett da urlo per un blockbuster mediocre
Distribuito in sala da Eagle Pictures, dal 7 agosto, Borderlands riporta dietro la macchina da presa Eli Roth, con un’opera assolutamente diversa dal suo genere di riferimento e perfetta per il grande schermo.
Basato sull’omonimo videogame ideato da Gearbox Software, Borderlands è il classico prodotto di intrattenimento estivo, che sfrutta in tutto e per tutto effetti speciali e tecnologie all’avanguardia per rendere lo spettacolo degno di nota. Il fatto che in cabina di regia si trovi un autore quale Eli Roth non fa che rendere più interessante e curioso il progetto, sebbene alla fine dei conti qualcosa non quadri.
Un cast eccezionale, capitanato da Cate Blanchett, alza l’asticella delle aspettative e prova a tenere alto il prestigio, ma di falle ce ne sono un po’ e non tutte possono essere chiuse dai nomi in cartellone. Come in casi simili – si vedano Suicide Squad o Justice League – la storia risulta debole e prevedibile, mentre si tende a puntare tutto sulla spettacolarità e sul ritmo.
Ecco, da quel punto di vista, nulla da dire: Borderlands mette in scena un turbinio di suggestioni che travolge e martella, non lasciando un attimo di respiro. Ideale per chi non ha pretese e cerca un divertimento superficiale, il film sembra contenere anche qualche spunto di riflessione importante, ma completamente sommerso dal resto.
Tante gag e qualche simpatica battuta, personaggi ben caratterizzati nell’abbigliamento e nel fisico – a eccezione di Jack Black che può giocare solo con la voce – esplosioni ed evoluzioni come in un vero e proprio videogioco, sono gli ingredienti della pellicola, nelle sale italiane da mercoledì 7 agosto 2024.
Borderlands | La trama del nuovo film con Cate Blanchett
Lilith (Blanchett) ha la fama di essere una delle migliori cacciatrici di taglie su piazza. Motivo per cui viene reclutata niente meno che da Atlas (Edgar Ramirez), che domina quasi tutti i pianeti con i suoi potenti mezzi e che ha “perso” la figlia teenager (Ariana Greenblatt) proprio su uno di questi. Lilith sarà quindi costretta a tornare sul suo pianeta d’origine, Pandora, alla ricerca della ragazza, che però non ha alcuna intenzione di tornare dal genitore ed essere sfruttata per i suoi malvagi piani.
L’incontro tra le due non sarà dei migliori. Ma quando un gruppo di banditi piomberà loro addosso, dovranno unire le forze. Ad affiancarle, un team alquanto strampalato, di cui fanno parte un ex mercenario di nome Roland (Kevin Hart), Krieg il protettore (Florian Munteanu), una scienziata (Jamie Lee Curtis) che conosce bene Lilith e il piccolo ma invincibile robottino Claptrap (Black).
Tanto stile ma poca anima
Dopo averci abituati a qualcosa di diverso e di molto identitario – si pensi a Hostel o The Green Inferno – Eli Roth presenta al pubblico un blockbuster sotto la media. Le potenzialità a livello registico, ovviamente, vengono confermate e sono ciò che rende comunque godibile la visione. Ma alla fine sembra quasi che i grandi nomi in cartellone si siano prestati al progetto per un mero fine economico.
Nonostante ciò, si apprezzano alcuni elementi, quali lo stile e il ritmo derivanti dal videogame di riferimento, i look dei protagonisti, i rimandi a cult degli anni Ottanta come Mad Max e Star Wars.
Recensioni
Love Lies Bleeding, la recensione | Inseguendo un sogno di libertà
Distribuito nelle sale italiane da Lucky Red, da giovedì 12 settembre 2024, Love Lies Bleeding riporta sul grande schermo Kristen Stewart, in un personaggio forte e delicato al tempo stesso, e presenta il meglio del cinema indipendente.
Dopo il passaggio al Sundance Film Festival – e già questo dimostra il valore e il tipo di progetto – Love Lies Bleeding sbarca nelle sale italiane, in netto ritardo rispetto alla madrepatria e ad altri paesi, quali per esempio il Regno Unito.
La pellicola porta la firma, in cabina di regia e alla scrittura, della giovane Rose Glass. La cineasta londinese, classe 1990, realizza la sua seconda opera con grande maestria e sensibilità, mettendo ben in chiaro quali siano la sua visione e il suo stile. Tra realismo magico, dramma intimista e noir, Love Lies Bleeding alterna i generi cinematografici, prendendo da ciascuno di essi materiali e mood più adatti allo scopo.
Il risultato è qualcosa di ben strutturato, intenso, emozionante. Forte di un cast eccezionale già su carta, ma sorprendente sullo schermo – anche e soprattutto grazie alla sintonia tra le protagoniste – il film affronta una serie di tematiche che vanno dall’amore (con le sue sfumature) alla famiglia, dalla potenza dei sogni al peso delle scelte.
Love Lies Bleeding ha già trionfato in alcune manifestazioni: due premi all’Astra Midseason Movie Awards, tra cui quello alla miglior attrice non protagonista (Katy O’Brian), e una candidatura al Golden Trailer Awards.
Love Lies Bleeding | La trama del nuovo film con Kristen Stewart
Lou (Stewart) gestisce una palestra nel bel mezzo del nulla, tra la polvere del New Mexico e il sudore dei suoi clienti. Le giornate trascorrono tra un water da sturare, advances da evitare e i conti da fare prima di abbassare la serranda. La giovane donna ha alle spalle una storia difficile, della quale fanno parte il padre (EdHarris), con cui non ha più un reale rapporto, e la sorella maggiore, Beth (Jena Malone), alle prese con un marito violento (Dave Franco).
Quando sulla soglia e, successivamente, sul ring della palestra appare Jackie (O’Brian), Lou avverte un nuovo inatteso sentimento. Oltre il puro e semplice invaghimento, le due sembrano riconoscersi l’una nell’altra, completarsi addirittura. L’incontro le condurrà a iniziare una storia d’amore importante e complicata, prima che il passato di entrambe intervenga a scombinare tutto.
La magia che addolcisce la realtà
Lo sguardo femminile predomina la narrazione, veicolata da due notevoli figure di giovani donne. Lou e Jackie hanno affrontato momenti e situazioni difficili, che le hanno costrette a mettere su una corazza, fatta di muscoli fuori e dentro. La bellezza, la dolcezza, la leggerezza sono sparite dalle loro esistenze, almeno fino a quando non si incontrano e ritrovano un barlume di speranza. La magia inizia a scorrere, trovando una sua incredibile e originale espressione sullo schermo.
Love Lies Bleeding racconta così il dramma della vita, in una società tossica, mascolina, violenta, omertosa, dentro la quale appare quasi impossibile essere liberi, fosse anche solo per esprimere se stessi e inseguire i propri sogni. Eppure, nonostante tutto e tutti, nel bel mezzo del caos più totale, a volte si verificano dei piccoli incantesimi, come a suggerire di non mollare e di continuare a crederci.
Festival
Venezia 81: Pupi Avati torna al cinema horror con L’Orto Americano | Recensione
Il protagonista de L’Orto Americano ha tutte le caratteristiche dei tipici personaggi di Pupi Avati: ha un candore e un’ingenuità tali da renderlo inadatto agli ambienti in cui si trova a vivere (che sia la provincia americana o la bassa padana) e soprattutto, essendo un romanziere che non è mai stato pubblicato, alle prese con un altro romanzo probabilmente destinato a rimanere anch’esso relegato nell’oblio, si inserisce in quell’ampio catalogo di sognatori insoddisfatti che il regista emiliano ha raccontato durante tutta la sua filmografia.
Si muove in una società che guarda con diffidenza chi racconta “storie”, che considera scrittori e narratori come dei bugiardi naturalmente predisposti a inventare e a ingannare. Ironicamente, si ritrova proprio ad indagare su di un caso – la sparizione misteriosa di una donna, data per morta – così aleatorio, data la scarsezza di prove e indizi tangibili, che non si può far altro che colmare le lacune con supposizioni, congetture, ipotesi.
Il giovane investigatore (un bravissimo Filippo Scotti) è uno che pensa che la realtà sia sempre troppo modesta, deludente e noiosa ed è per questo che ha l’abitudine di confidarsi con i morti, con le persone care che non ci sono più e che tiene sempre con sé in un vecchio raccoglitore di foto.
Immaginare o credere che ci possano essere da qualche parte quelle persone che gli furono care lo tiene in vita e anche solo invocare i loro nomi lo fa sentire in un mondo già più grande di quello che è davvero.
L’Orto Americano: omaggio al cinema americano dei Cinquanta
Questo nuovo film di Pupi Avati, il primo in bianco e nero in una carriera estremamente prolifica, si confronta con il cinema che il regista ha amato in gioventù, quello americano degli anni Cinquanta che ha contribuito a plasmare il suo immaginario da regista.
L’Orto Americano, alla veneranda età di 85 anni, assomiglia infatti, con tutti i limiti del caso e tollerata una fastidiosa approssimazione in molti aspetti più tecnici, ad un film della maturità e non ad uno senile: un coraggioso tentativo di proseguire quel filone “americano” della sua filmografia che è sempre stato il più doloroso, disilluso, in cui veniva messo alla prova il sogno provinciale della “terra promessa” oltreoceano, saggiandone l’inconsistenza.
Anche ne L’Orto Americano, come in tutti i film di Avati, la Storia, in questo caso quella del secondo dopoguerra, lambisce soltanto il racconto, determinando il contesto entro il quale si dipanano i temi cari al regista: l’illusione e la delusione, la mortificazione inflitta dall’esperienza, la disperata resistenza ad ammettersi perdenti.
Ed è proprio quest’ultima a spingere il protagonista nella sua erratica ricerca, totalizzante e destinata fin dal principio a poter essere completata solo nel sogno, nella fantasia. Nella scrittura come nel cinema.
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