Seconda Primavera, la recensione del nuovo film di Francesco Calogero

A quindici anni di distanza dal suo ultimo progetto per il grande schermo, Il Metronotte interpretato da Diego Abatantuono, Francesco Calogero torna dietro la macchina da presa per dirigere Seconda Primavera, in uscita nelle nostre sale il prossimo 4 febbraio. La pellicola, suddivisa in sei diversi atti, prende il via dal primo inverno per arrivare alla “seconda primavera” del titolo, raccontando cronologicamente la storia di Andrea, architetto cinquantenne con un difficile passato alle spalle che potrà finalmente rinascere grazie al fortuito incontro con la giovane studentessa Hikma. Nella bella adolescente il taciturno architetto rivedrà il volto della propria moglie, scomparsa quattro anni prima a causa di un tragico incidente. Francesco Calogero, forse anche a causa della pochezza dei mezzi a sua disposizione, dirige in maniera lineare e asciutta, senza impegnarsi in virtuosismi particolari e mettendo la macchina da presa a servizio della storia narrata. Proprio la sceneggiatura, scritta con evidente cura e intelligenza, riesce a catturare lo spettatore grazie ai dialoghi sagaci e mai banali, divertenti nelle situazioni più leggere e profondi nei momenti di maggiore tensione drammatica.

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Purtroppo, però, tutto il lavoro fatto in fase di scrittura non viene sufficientemente valorizzato da una recitazione invece fin troppo amatoriale ed approssimativa dei personaggi di contorno, spesso poco credibili e stereotipati. Nonostante ciò, i due protagonisti, interpretati da Claudio Botosso e Desirée Noferini, riescono fortunatamente a farsi carico del peso dei propri personaggi, regalando in più di un’ occasione un’ intesa solida e convincente. Una spanna sopra tutti il sempre divertente e travolgente Nino Frassica, protagonista di alcune simpatiche comparsate. Ma la pellicola riesce a trovare la sua vera forza sul piano teorico e concettuale, nell’ analisi della mutazione dei rapporti e dei comportamenti dei protagonisti al passaggio da un ambiente oppressivo e metropolitano come quello cittadino al rigoglioso giardino della villa, inquadrato nella sua duplice essenza di “locus amoenus” e teatro di scontri e conflitti. Il simbolismo è chiaramente quello di T.S. Elliot, dai fiori di loto al giardino delle rose, per rappresentare la “primavera” della nostre vite, il momento che scaccia la neve dal cuore ma che, come le vere stagioni, è destinato a svanire poco dopo. La stagione dell’amore è destinata a sorprendere quando meno ce lo si aspetta, ma allo stesso tempo è destinata a soccombere a causa della incontrastabile caducità del nostro tempo, a causa della strozzante ciclicità della nostra esistenza. Seconda Primavera, nonostante la scrittura vivace e riuscita, non riesce però a emergere dalla pesante incudine melodrammatica, puntando troppo spesso la propria lente su banali e fin troppo caricati intrecci sentimentali, piuttosto che sulla più interessante analisi socio-filosofica circa il narcisismo borghese e le tensioni latenti tra classi e personaggi così eterogenei.

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