Dopo Jackie e Spencer, il regista cileno Pablo Larrain conclude la sua trilogia cinematografica dedicata alle figure femminili del XX secolo con Maria. Il nuovo film è in concorso alla 81° edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, festival che ha già accolto con ammirazione le sue opere precedenti.
Questa volta la sua musa è Angelina Jolie che veste i panni di Maria Callas, la soprano di origine greca nata a New York che ha conquistato il mondo intero con la sua voce. Una sfida complessa sulla carta che Larrain ha accettato in nome del suo amore per l’opera fin da bambino.
Ha definito Maria “un sogno tanto atteso” poichè è stato un modo per unire le sue due più grandi passioni: il cinema e l’opera. Lo abbiamo visto in anteprima a Venezia 81 ed ecco di seguito la nostra recensione.
Maria: Angelina Jolie torna sulla scena con Larrain
Al centro di Maria c’è una donna fragile e tormentata dal passato, una pellegrina consumata da un continuo viaggio tra realtà e illusione. Le numerose medicine che prende, anche contro il parere dei medici, le procurano allucinazioni e la consumano lentamente. Per lei è sempre più difficile distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è.
Sulla scia della celebre Gloria Swanson di Viale del Tramonto, Maria Callas raccontata da Larrain è una diva in caduta libera. Il successo travolgente e una vita ricca di incontri, applausi, emozioni e riconoscimenti, sembra ormai avere i contorni sfumati.
Il racconto intimo e malinconico di una diva
I suoi ricordi positivi tornano come annacquati dalla malinconia e dalla depressione che hanno trasformato l’artista in una donna insicura e incapace di vivere bene. Maria è sola in una casa immensa e preziosa nel cuore di Parigi. Come spesso accade, il successo spinge una star a rifugiarsi dal mondo esterno e a fare i conti con i fantasmi del passato e del presente.
“Vengo nei ristoranti per essere venerata” dice Jolie in una scena del film, sottolineando come la vita della Callas negli ultimi giorni fosse avvolta dalla foschia della notorietà e della solitudine.
Il regista racconta la sua protagonista sconfinando in una dimensione surreale popolata da presenze che sono state fondamentali nella vita della Callas. Il suo film non è un tradizionale biopic, ma un ritratto in stile Larrain che si percepisce sullo schermo come una esplorazione quasi mistica di una diva in conflitto, consumata dal proprio talento.
Maria Callas in una luce diversa
Tecnicamente Larrain passa dal colore al bianco e nero, e non solo. La fotografia calda, a tratti vintage e filtrata, è suggestiva e romantica. Parigi appare un luogo sospeso in una foschia che sfuma i contorni dei palazzi, delle strade e alcune inquadrature sembrano dei dipinti in lento movimento.
Larrain si muove tra gli interni sontuosi con la camera, invitando lo spettatore a immergersi in quella dimensione. Dalla casa mausoleo di Maria ai musei, teatri e i vari luoghi raffinati e ricchi di storia che lei visita nel corso del film. Persino La Scala di Milano ha aperto le porte al regista durante le riprese e, in generale, si nota chiaramente la ricchezza della scenografia data da location di alto livello.
Ovviamente la musica è una vera co-protagonista e dona ritmo alla sceneggiatura che, tuttavia, trova un equilibrio tra azione, dialoghi e pensieri. Jolie guida bene la scena, senza cadere nella caricatura di un personaggio così carismatico e conflittuale. Sostenuta egregiamente da Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher nei panni dei domestici Ferruccio e Bruna, e di Valeria Golino come la sorella maggiore.