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Il palmarès di Cannes 2025 conferma che dal festival francese passano gli autori di domani

Il Festival di Cannes 2025 si dimostra ancora una volta il palcoscenico migliore per illuminare gli autori del cinema di domani. La 78esima edizione è stata infatti un’edizione che ha consacrato diversi artisti che con il festival sono cresciuti nel corso degli anni.

La Palma d’oro della 78esima edizione del Festival di Cannes è andata a Jafar Panahi per A Simple Accident. Un film bellissimo, che mette in scena una dittatura “amputata”, claudicante, e che lancia un messaggio oggi più che mai fondamentale: se accecate dall’odio, anche le vittime possono facilmente trasformarsi in aguzzini e passare dalla parte del torto.

Il regista iraniano è tornato fisicamente a Cannes dopo quindici anni dall’ultima volta e dopo vicende giudiziarie che lo hanno visto entrare e uscire dalle carceri del suo Paese. Costretto, come altri suoi colleghi, alla clandestinità, Panahi è riuscito comunque a realizzare un film pressoché perfetto in condizioni difficilissime, affermando il potere del cinema sulle imposizioni e la repressione di dittature e regimi.

Anche per questo, la scelta fatta dalla giuria presieduta da Juliette Binoche è pressoché incontestabile (nonché ampiamente anticipata). Però, a voler fare un’analisi approfondita del palmarès, è negli altri premi che il Festival di Cannes, ancora una volta, ha dimostrato di essere il luogo migliore per scoprire i talenti del cinema di domani, le nuove voci, gli autori più interessanti.

Cannes 2025, un commento al palmarès

A dimostrazione di questo ci sono sicuramente i due Premi della Giuria, dati ex-equo a Sirât di Óliver Laxe e a Sound of Falling di Mascha Schilinski. Il primo è senza dubbio il film di questa edizione, quello che ha fin da subito calamitato le attenzioni di tutti e acceso le discussioni più appassionate tra detrattori e sostenitori.

Un western pre-apocalittico visivamente e musicalmente mozzafiato, che a metà più o meno della sua durata si assume un rischio piuttosto folle nella sceneggiatura (che non riveleremo), si concede una disobbedienza insolente alle regole e conduce la narrazione su di una strada completamente diversa da quella inizialmente paventata.

Quello di Mascha Schilinski, dall’altro lato, è invece un film estremamente denso e poetico, composto da immagini a grana grossa (quella del 16mm), che formano un puzzle di storie di bambini che diventano adulti e che, in questo passaggio, finiscono per ripetere gli stessi atteggiamenti, gli stessi errori, le stesse nevrosi, la stessa violenza, dei loro genitori.

Sirât
Una foto di Sirât (fonte: Festival di Cannes) – NewsCinema.it

Innanzitutto un dato anagrafico: Óliver Laxe, al suo quarto lungometraggio, ha 43 anni, mentre Mascha Schilinski, al suo secondo film, ne ha un paio di meno. Il festival ha quindi voluto premiare e consacrare due giovani autori che ritiene possano diventare presto delle certezze, ma soprattutto due autori su cui il festival ha voluto scommettere. Vincendo.

Laxe è praticamente nato e cresciuto (cinematograficamente) sulla Croisette: ha debuttato nel 2010 con Todos vós sodes capitáns in Quinzaine des Réalizateurs, per poi passare in Semaine de la critique con il successivo Mimosas, fino all’ingresso in selezione ufficiale con il precedente O que arde, presentato nella sezione Un Certain Regard. Schilinski, invece, aveva presentato il suo lungometraggio d’esordio a Berlino nel 2017 e quindi non era assolutamente scontato che i selezionatori del festival di Cannes decidessero, al suo secondo film, di riservarle uno spazio in un concorso come al solito affollatissimo (e da cui sono stati esclusi tantissimi nomi eccellenti).

Un discorso analogo, inoltre, si potrebbe fare per gli altri due grandi vincitori di questa edizione: Kleber Mendonça Filho, vincitore del premio per la miglior regia per O agente secreto (che ha permesso anche la vittoria del protagonista Wagner Moura come miglior attore), e Joachim Trier, vincitore invece del Grand Prix, ovvero il secondo riconoscimento più autorevole del palmarès.

Come nel caso della Schilinski, anche sul regista brasiliano il festival ha scommesso fin da subito. Già il suo secondo film Aquarius (esattamente come accaduto per Sound of Falling) aveva ottenuto un posto nel concorso principale, seguito poi da Bacurau, vincitore del Gran Premio nel 2019. Per quanto sarebbe difficile associare invece la carriera del norvegese Trier al festival di Cannes, è però innegabile che la sua fama sia aumentata esponenzialmente dopo il passaggio in concorso quattro anni fa de La persona peggiore del mondo, a cui questo successivo Sentimental Value deve ovviamente moltissimo.

Wagner Moura in O Agente Secreto
Wagner Moura in O Agente Secreto (fonte: Festival di Cannes) – NewsCinema.it

Gli altri premi assegnati

Si può facilmente pensare, inoltre, che il rinascimento dato a Nadia Melliti come miglior attrice per La Petite Dernière sia in realtà un premio al film, diretto da un’altra attrice francese molto nota come Hafsia Herzi, alla sua terza prova dietro la macchina da presa. Inutile dire che anche lei ha debuttato con il suo primo film da regista in Semaine de la critique per poi passare in Un Certain Regard e infine al concorso. Percorso simile a quello di Bi Gan, vincitore del Premio speciale della giuria con Resurrection. Anche in questo caso, il precedente Un lungo viaggio nella notte era passato dalla sezione Un Certain Regard.

Un caso a parte è invece quello del premio alla miglior sceneggiatura assegnato a Jean-Pierre e Luc Dardenne per Jeunes Mères. I due fratelli sono tra i più grandi autori di cinema europei viventi, tra i pochissimi ad aver ricevuto per ben due volte la Palma d’oro, ed è indubbio che questo ultimo film sia uno dei più belli e ispirati di questa fase della loro carriera.

Ultima nota, l’incomprensibile esclusione di Two Prosecutors di Sergei Loznitsa: uno dei pochissimi film ad aver messo praticamente d’accordo tutta la stampa e la critica specializzata in un concorso in cui non sono mancati invece film abbastanza divisivi. Ma che evidentemente non ha toccato le giuste corde in giuria.

Davide Sette
Davide Sette
Giornalista cinematografico. Fondatore del blog Stranger Than Cinema e conduttore di “HOBO - A wandering podcast about cinema”.

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